The Far Web
Anno N. -
Editoriale
Editoriale a cura di Andrea Lisi* e Francesca Cafiero**
*Avvocato, Direttore Editoriale KnowIT, Coordinatore Stduio Legale Lisi e Presidente ANORC Professioni
** Archivista, Coordinatrice Rivista KnowIT, Responsabile Ufficio di Comunicazione Studio Legale Lisi
Spazi incontaminati, spirito di avventura, sprezzo del pericolo. Il leitmotiv delle pellicole ambientate nel “selvaggio west”, sembra essere lo stesso che pervade la realtà virtuale.
Uno spazio da regolamentare o da lasciare libero di ammazzarci socialmente?
Una realtà che coincide grosso modo con i confini di un meta-stato di dimensioni sovranazionali, attualmente governato da un novero di multinazionali private, strategicamente posizionate in un raggio d’azione da loro regolamentato sulla base di sensibilità più o meno condivise a livello mondiale e che i governi in qualche modo “ospitano” (o sono essi stessi ormai ospitati?) all’interno dei loro confini territoriali.
Di questo meta-stato sono cittadini tutti coloro che possiedono, in un modo o nell’altro, un’identità social e le ripercussioni di questo status, per quanto spesso ci si sforzi di minimizzare, possono essere anche pesantissime. Il problema di fondo è che le capacità dello Stato di diritto sono ormai insufficienti per garantire il controllo di spazi di dimensioni enormi, all’interno dei quali il raggio d’azione dei grandi players si è fatto estremamente libero, rimanendo tuttavia anche molto soggettivo.
La conquista degli incontaminati spazi digitali
Ecco perché la “conquista” e la successiva regolamentazione degli incontaminati spazi digitali, gestiti secondo una autoregolamentazione imposta da chi detiene un “potere” incredibile, rappresenta da oltre vent’anni la vera sfida per gli esperti, in particolare per i giuristi, che dovrebbero maturare un’esperienza e una sensibilità maggiore nei riguardi delle nuove dimensioni sociali dove ormai maturano indisturbate le nostre coscienze indirizzate sempre di più da tecniche militari di psicografica, come l’esperienza di Cambridge Analytica insegna.
E tutto questo mondo da tempo non viene più raccolto e interpretato dal diritto, ormai stordito dai continui mutamenti dell’innovazione e imbrigliato nell’ostinato mantenimento del rigore tradizionale in una forma che non ha più sostanza. Un esempio tra tutti è quello rimbalzato agli onori della cronaca qualche settimana fa, il caso della censura esercitata da Facebook nei confronti di Casapound. Sulla base di una personale sensibilità degli autori, pur ritenendo corretta l’azione di pulizia culturale esercitata dalla piattaforma (che in tal senso vanta già dei precedenti nei confronti di altre organizzazioni nazi-fasciste estere), si è ritenuto importante puntualizzare, in diverse occasioni[1], l’importanza di non sottovalutare il peso dell’azione di autotutela collettiva decisa e portata avanti da un’organizzazione privata in uno spazio che rimane poco controllabile e poco controllato dal diritto (e quindi inevitabilmente soggetto a pressioni politiche).
Il nocciolo della questione è come l’utilizzo dei sevizi “gratuitamente” offerti da Facebook (o da Google o da tutti gli altri monopoli di servizi social) si stia tramutando sempre più in una forma di dipendenza per la società, tant’è che diversi esperti, a livello internazionale, hanno già avuto modo di assimilare queste piattaforme a nuove forme di servizi “essenziali” quali la fornitura di acqua o di energia elettrica[2].
Esatto: occorre ripensare a Google, Facebook, Messenger o WhatsApp come a un servizio pubblico – dal momento che il loro funzionamento implica delle ripercussioni pubblicistiche. Alla luce di queste considerazioni, non sarebbe del tutto peregrina la richiesta di costituire forme di Authority indipendenti di carattere sopranazionale che possano in qualche modo imporsi e regolamentare spazi digitali così ampi, imponendo standard certi per il reciproco utilizzo (e controllo) di queste piattaforme nei diversi Stati.
Per comprendere a fondo la gravità del problema, pensiamo per un attimo a quanto accaduto nelle ore del down avvenuto lo scorso 3 luglio 2019[3]. A causa di un malfunzionamento, i circa 2,7 miliardi di utenti delle piattaforme di casa Zuckerberg sono ripiombati (o in alcuni casi piombati per la prima volta) in una modalità di interazione old-style.
Una conferma di quanto le “piattaforme sociali” abbiano smesso di essere dei luoghi di interazione più o meno discrezionali: la loro pervasività è filtrata definitivamente nel tessuto della nostra società, impregnandola in maniera indelebile, un po’ come le tinte rosso sangue che animano le scene dei film splatter di Tarantino. Del resto, Facebook ha sempre raccontato di sé stesso in termini alternativi rispetto al business tradizionale[4]:
- nel primo trimestre del 2019, il chief security officer della piattaforma ha dichiarato a Business Insider che Facebook è un’infrastruttura critica per la democrazia[5]
- nel suo manifesto del 2017 Building Global Community[6], Zuckerberg ha esplicitamente descritto l’infrastruttura di Facebook come uno strumento per combattere il terrorismo, le pandemie e il cambiamento climatico;
- nella sua lettera pre-IPO del 2012[7], ancora Zuckerberg ha dichiarato che Facebook non è nato per essere un’azienda, ma per realizzare una missione sociale: rendere il mondo più aperto e connesso.
La domanda è: come agire? O, cinematograficamente parlando: qual è il piano?
Da un lato occorre sicuramente proporre nuovi modelli di “governo” e “organizzazione” degli scenari sovranazionali, così come di quelli locali, in poche parole: think globally, act locally.
In Italia si stanno compiendo diversi sforzi in questo senso, almeno a giudicare dal numero di attori pubblici protagonisti dello scenario nazionale: il Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, il Ministro per la Pubblica Amministrazione, il Commissario straordinario per la trasformazione digitale, il dipartimento per la trasformazione digitale, l’Agenzia per l’Italia digitale e non ultimo, come ricordato in uno suo recente approfondimento dal prof. Donato A. Limone[8], lo stesso Ministro per le regioni e le autonomie locali, il cui ruolo non deve essere sottovalutato per la concreta attuazione delle strategie nazionali, poiché la Trasformazione Digitale si governa partendo dal territorio.
Si tratta di attori (alcuni dei quali debuttanti) con compiti specifici che necessitano di un forte coordinamento oltre che di strategie comuni, sicuramente da definire con sempre maggiore efficacia. E nessuno di loro oggi sembra proporre un’idea precisa, specifica, coordinata su scala europea da contrapporre a questa evoluzione (o involuzione?) incontrollata in modo da indirizzare piano piano un fenomeno sociale di dimensioni anazionali.
Del resto, il compianto Giovanni Buttarelli ci ha consegnato il suo testamento, ricordandoci proprio i pericoli del social web e indicando nel ruolo coordinato delle Authority i suoi possibili argini: “L’attuale ecosistema digitale si fonda sullo sfruttamento intensivo ed indiscriminato delle informazioni e dei dati personali. Nel corso di poco più di un decennio, la struttura dei mercati è andata convergendo verso situazioni di quasi-monopolio, decretando l’accrescimento esponenziale del potere di mercato di pochi, ma potentissimi, attori privati. Il risultato è la concentrazione del potere di controllo dei flussi d’informazione nelle mani dei giganti del tech, circostanza che facilita il consolidamento di un modello di business basato sulla profilazione e finanche manipolazione delle persone. Si rende a tal proposito necessario un ripensamento strutturale del modello di business prevalente. Si impone, inoltre, un intervento coordinato delle autorità della protezione dei dati, della protezione dei consumatori e della concorrenza, che tenga conto delle sinergie e sfide comuni alle diverse aree di regolazione”.[9]
Vogliamo prendere in considerazione queste parole o seppellire il suo monito insieme alla sua tomba?
Ci attende in ogni caso un futuro complesso e il diritto non può non misurarsi oggi con nuovi strumenti in un ambito che rimane un Far Web e, nel Far Web, gli sceriffi usando i “propri metodi” assicurando la giustizia. E questi metodi non devono farci paura, ma vanno interpretati e indirizzati con attenzione in modo da poter dormire sonni davvero tranquilli e non perché “è il nostro peggior nemico a vegliare su di noi” (cit. adattata dal film “Il buono, il brutto, il cattivo” di Sergio Leone).
[1] Sul tema vi invitiamo a consultare il podcast dell’intervista rilasciata dall’avv. Andrea Lisi ai microfoni di IusLaw Webradio: https://webradioiuslaw.it/casapound-la-censura-di-facebook-intervista-allavv-andrea-lisi/
[2] Si veda in proposito l’articolo a firma di Susan Crawford, docente della presso Harvard Law School, pubblicato su Wired: https://www.wired.com/story/calling-facebook-a-utility-would-only-make-things-worse/
[3] Sull’accaduto riteniamo utile consultare l’approfondimento a firma di Roberto Reale, pubblicato su Cielo e Terra: http://www.cieloterradesign.com/facebook-whatsapp-down-servizio-pubblico/?fbclid=IwAR3rUv_bmjXPsYGOAnIxlN0EeHXmsBxL2EYvPWspDX_ixg48BI4vdxdVCbc
[4] Come ricorda in una sottile analisi Roberto Reale, dal simbolico titolo “We need a social (network) contract”, pubblicata all’interno del suo Blog, Medium.com: https://medium.com/reale/do-we-need-a-social-network-contract-83e57df43105
[5] Si veda il link di riferimento: https://www.businessinsider.com/inside-facebook-physical-security-protect-mark-zuckerberg-employees-2019-2?IR=T
[6] Il Manifesto è consultabile al seguente link: https://www.facebook.com/notes/mark-zuckerberg/building-global-community/10154544292806634/
[7] Si veda la lettera pubblicata su Yahoo News, al seguente link: https://www.yahoo.com/news/mark-zuckerberg’s-ipo-letter–why-facebook-exists.html?guccounter=1
[8] L’articolo a firma del prof. Donato A. Limone, pubblicato su Key4Biz, è consultabile al seguente link: https://www.key4biz.it/una-strategia-per-la-trasformazione-digitale-delle-regioni-autonomie-locali-il-ruolo-primario-del-ministro/
[9] Si veda Rivista Digeat2019, The dark side of…, Lato A, numero 0, pag. 10, scaricabile gratuitamente da questo indirizzo: https://www.digeat.it/edizioni-precedenti/dig-eat-2019
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Sommario
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Welcome to the Far WebAvvocato - esperto in diritto applicato all'informatica e protezione dei dati
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Ci sono “spazi digitali” per la Digital B2B TransformationPaolo A. CattiIngegnere, Associate Partner VPS
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Perché la giustizia privatizzata minaccia la cittadinanza digitaleGiuseppe IaconoEsperto in processi di innovazione
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Digitalizzazione, nudging e filter bubblesAndrea BrogliaAvvocato - esperto Privacy e componente D&L NET
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Il buco nero degli spazi digitaliAvvocato - consulente esperta in diritto applicato all'informatica
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