Digital Transformation
Anno N. -
Editoriale
Stephen Hawking ci ha insegnato che l’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento. Sappiamo bene che in questi anni nelle nostre organizzazioni (e in quelle pubbliche ancor più che in quelle private) si è proceduto in direzione esattamente contraria. Abbiamo infatti ostinatamente cercato di riprodurre il mondo analogico negli schemi del contesto digitale. Ovviamente questo ha fatto esplodere ancor di più i limiti di una burocrazia che affligge e insabbia ogni nostra scelta di cambiamento.
La normativa italiana in verità prevede astrattamente nuovi incredibili diritti di cittadinanza digitale, i quali restano inevitabilmente inattuati in un contesto paludoso e che protegge sé stesso:
- diritto alla propria identità digitale (Codice dell’Amministrazione Digitale – D. Lgs. 82/2005);
- diritto a comunicare e partecipare digitalmente (CAD);
- diritto al proprio domicilio digitale (CAD);
- diritto a non esibire certificati alla PA (CAD; L. 183/2011);
- diritto alla trasparenza amministrativa digitale (CAD; D. Lgs. 33/2013);
- diritto alla protezione dei propri dati digitali (Codice protezione dei dati personali – (D. Lgs. 196/2003, oltre che General Data Protection Regulation – Regolamento 679/2016);
- diritto all’accessibilità e usabilità (CAD; L. 4/2004).
Questi diritti, semisconosciuti ai cittadini, per poter essere concretizzati hanno bisogno di una vera riforma che si basi su parole d’ordine che oggi -invece- rimangono totalmente dimenticate in un’azione governativa di ripetitivo e imbarazzante storytelling, la quale purtroppo caratterizza i nostri giorni.
L’art. 12 del Codice dell’amministrazione digitale (per fortuna sostanzialmente non toccato dalla pessima e piccola riforma contenuta nel D. Lgs. 217/2017) prevede che le pubbliche amministrazioni nell’organizzare autonomamente la propria attività utilizzano le tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la realizzazione degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, nonché per l’effettivo riconoscimento dei diritti dei cittadini e delle imprese di cui al presente Codice, in conformità agli obiettivi indicati nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione. In particolare, secondo l’art. 15 dello stesso Codice la riorganizzazione strutturale e gestionale delle pubbliche amministrazioni volta al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 12, comma 1, avviene anche attraverso il migliore e più esteso utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’ambito di una coordinata strategia che garantisca il coerente sviluppo del processo di digitalizzazione.
La tecnologia quindi va messa al servizio di una profonda riforma. Secondo il nostro Legislatore non ci possono essere efficienza, trasparenza e semplificazione senza portare avanti una seria e affidabile politica di digitalizzazione e, quindi, senza una piena e autonoma riorganizzazione dell’ente pubblico in ottica digitale. Non ci sono scorciatoie perché l’ente pubblico è una “macchina” amministrativa e ha bisogno di un nuovo “motore” per funzionare: non si può pensare che sia sufficiente una “riverniciatina alla carrozzeria” per poter procedere in un contesto radicalmente nuovo, come quello digitale.
Le aree trasversali, lungo le quali dovrà procedere questa profonda e risolutiva riforma della PA (ma applicabile anche al mondo dell’impresa) sono:
- gestione e conservazione dei documenti digitali;
- trattamento dei dati personali;
- open data, trasparenza e pubblicità legale on line.
Queste aree sono oggi presidiate da normative specifiche e puntuali regole tecniche, le quali per poter essere avviate e attuate hanno disperato bisogno di conoscenza, formazione e responsabilizzazione.
A mio avviso ciò che realmente manca oggi per poter finalmente svoltare e cambiare passo è, infatti, un complesso processo di accountability, (come già da tempo previsto nella normativa europea sulla protezione dei dati personali). Nel Parere 3/2010 sul principio di responsabilità – Gruppo di lavoro dei Garanti Europei articolo 29 per la protezione dei dati si legge, infatti: il principio di responsabilità potrebbe contribuire allo sviluppo di competenze giuridiche e tecniche nel campo dell’attuazione delle disposizioni sulla protezione dei dati. Saranno indispensabili in questo settore persone altamente competenti, dotate di approfondite conoscenze tecniche e giuridiche in materia di protezione dei dati, nonché di capacità di comunicare, formare il personale, elaborare e attuare politiche e svolgere audit. Tali competenze saranno necessarie sia internamente sia nella forma di servizi esterni che le imprese potranno richiedere.
Il nostro Sistema Paese quindi ha bisogno di svoltare attraverso una combinazione congiunta di tre parole d’ordine:
- Accountability;
- Multidisciplinarietà;
- Formazione.
Ovvio che non può esserci un reale cambiamento se non ci sono conseguenze in caso di inerzia da parte di coloro che dovrebbero essere responsabili della sua attuazione. Quindi, inevitabilmente, anche per le politiche di digitalizzazione -come già previsto in Europa per quelle di protezione dei dati personali- deve essere previsto un coerente e rigido apparato sanzionatorio.
Proprio ciò che sino ad oggi è mancato.
- Avvocato - esperto in diritto applicato all'informatica e protezione dei dati
Sommario
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Le parole d’ordine (mai attuate) dell’innovazione digitaleAvvocato - esperto in diritto applicato all'informatica e protezione dei dati
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Governance digitale e PA: il digitale non è un problema tecnologico, ma culturaleLaura FloraResponsabile amministrativo dell’Osservatorio astronomico di Trieste e Coordinatore della gestione documentale INAF - componente della Commissione di valutazione di ANORC Professioni
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Modulistica e Processi: l’altro modo di digitalizzareLuca FornaraResponsabile Filiera Giuridico/Amministrativa e Prodotti Web based Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A.
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