Ieri ho assistito a un interessante confronto sul “Diritto del metaverso”, come si intitola un ottimo volume edito da Giappichelli dell’Amico e Collega Fulvio Sarzana, scritto insieme a Ivan Osvaldo Epicoco e Marco Pierro . Il dibattito, oltre a illustrare la mirabile innovazione che stiamo vivendo, si è inevitabilmente concentrato sulle nuove e necessarie regolamentazioni per inquadrare il mondo digitale e arginare i suoi pericoli.
Ma su alcuni assunti espressi proprio non riesco a concordare.
Gli avatar sono il costante termometro della nostra esistenza
Nel processo di profonda datificazione della nostra esistenza, ogni servizio che ci viene proposto coinvolge profilazioni sempre più pervasive che ci riguardano. Ogni nostro account nel web raccoglie tutto ciò che disseminiamo on line, così come nei metaversi ogni avatar raccoglie e raccoglierà ogni nostro sorriso, ogni nostra singola emozione, per proiettarli sistematicamente in un’esistenza che ha poco di virtuale.
Gli avatar sono e saranno tutto di noi, ancor di più di come lo sono gli account di oggi: identità digitali perfette perché, sistematicamente, ecosistemi progettati per questo profilano le nostre esistenze analogiche al fine di proporci servizi perfettamente coincidenti con le nostre abitudini, i nostri gusti sino alle nostre più profonde emozioni. E ovviamente a noi tutto questo sta bene. Sta bene come consumatori del web e starà bene come cittadini dei metaversi che ci riguarderanno.
Quei servizi, infatti, vogliamo che siano on line ben ritagliati per noi, come vorremo che i metaversi ci rappresentino al meglio manifestando in modo sgargiante ogni nostra singola emozione che orologi digitali, occhiali e/o altri strumenti indossati sistematicamente raccoglieranno per noi.
Gli avatar sono e saremo noi. Non c’è nulla di più personale di questo.
Il GDPR non è da cambiare (o almeno non è così vecchio come sembrerebbe in apparenza)
Alla luce di questo è sbagliato pensare che il GDPR sia già vecchio, e siano necessarie ulteriori regolamentazioni, perché si occupa di “persone fisiche” e non di “avatar”. Proviamo invece ad abituarci a osservare con attenzione ciò che ogni giorno ci accade e che continua e continuerà a riguardarci come persone fisiche. Le rivoluzioni digitali che ci riguardano e ci riguarderanno non sono, né possono essere (almeno al momento e sino a quando non realizzeremo intelligenze artificiali auto-coscienti) altro da noi, quindi recuperiamo lucidità giuridica e principi generali del diritto per regolamentarle, senza stimolare il legislatore all’inseguimento folle di ogni cambiamento. Semplicemente perché cambiamo troppo in fretta, ma senza trasformarci del tutto, almeno non alle radici della nostra esistenza. Non chiediamo quindi ai nostri legislatori, peraltro non sempre particolarmente illuminati, di inseguire ogni singola innovazione che ci riguarda. Non ha proprio senso pretenderlo.
I GAFAM non sono semplici provider
I Google, Amazon, , Apple, Microsoft (come anche TikTok, Alibaba e pochi altri) sono oggi veri e propri imperi a-nazionali, non solo economici, ma in grado di gestire sistematicamente identità, cittadinanze, proporre nuove monete, arredare ogni dettaglio di noi, sino a (almeno teoricamente) manipolare le nostre esistenze (fisiche e per nulla virtuali). E, del resto, quando un Zuckerberg o un Bezos atterrano in uno stato nazionale vengono ricevuti come capi di stato.
Alla luce di questo, il diritto che si occupa di un gestore di servizi a livello planetario è diritto costituzionale, non solo diritto dei consumatori o di utenti di servizi innovativi. Noi nei metaversi e/o nel web edificato dai “Gafam” siamo semplicemente cittadini. E come cittadini dobbiamo essere tutelati in tutti i nostri diritti e libertà fondamentali.
A chi spetta tutelarci?
Fatte queste premesse, davvero possiamo ancora credere che noi cittadini, che ormai ci siamo evoluti (o involuti) in spazi globali digitali, dobbiamo elemosinare diritti e libertà che ci riguardano, considerando tali giganti del web (o dei metaversi) come semplici provider privati in grado di contrattualizzare, in un beffardo far web, ogni dettaglio della nostra esistenza?
No, l’Europa timidamente e finalmente sta provando a trattare con questi veri e propri “Stati a-nazionali” mettendoli in contraddizione con ciò che sono diventati. E oggi sono (e non possono che essere considerati) prestatori di servizi essenziali e fondamentali per vivere on line e, su certi diritti e libertà fondamentali che ci riguardano, non ci può essere libera contrattualizzazione. Questi spazi by default devono garantire un approccio democratico, altrimenti – semplicemente – vanno vietati perché illegittimi.
Non possiamo in estrema sintesi consegnare diritti e libertà fondamentali che ci riguardano a uno svogliato “point&click”.
Immagine di copertina: Pensieri di un uomo davanti allo specchio – Autore: Roberto Marzioli