I paradossi del web e le sue politiche nebulose non sono andati in vacanza neanche durante questa calda estate: ce lo hanno confermato i diversi episodi di attualità di questi ultimi giorni, confluiti nella cronaca politica, che hanno coinvolto colossi Tech come Telegram, Meta e Spotify.
Le sorprendenti dichiarazioni rilasciate da Zuckerberg, il controverso arresto di Durov e la confusione normativa manifestata dal CEO di Spotify non rappresentano altro che la punta dell’iceberg di un sistema digitale complesso che continua a mettere costantemente a rischio i nostri diritti fondamentali, primo fra tutti la nostra libertà di espressione.
Lo ha confermato l’Avv. Andrea Lisi nel suo nuovo articolo pubblicato sulle pagine del suo Blog ospitato da Il Fatto quotidiano.
Tre episodi strettamente correlati
A distanza di poco, tre diverse notizie legate ai colossi delle Big Tech hanno fatto discutere per la loro natura e le loro inevitabili conseguenze: in primis Mark Zuckerberg che attraverso una lettera inviata alla Commissione Giustizia della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti a guida repubblicana, ha ammesso di aver “ricevuto pressioni” dal Governo per “censurare” contenuti relativi alla pandemia da Covid-19, inclusi quelli di natura satirica. Poi l’arresto di Pavel Durov, fondatore di Telegram, legato – presumibilmente – all’omessa collaborazione nella repressione di crimini che venivano agevolati attraverso le garanzie di segretezza delle comunicazioni che transitano sulla piattaforma da lui creata; infine le lamentele del CEO di Spotify relative alla frammentazione e alla scarsa chiarezza della normativa europea in ambito di IT.
Tre episodi apparentemente distinti ma che si rendono testimoni sia delle costanti manipolazioni che può subire il nostro pensiero attraverso le piattaforme social e sia delle costanti tensioni tra Stati nazionali e grandi player digitali. Allo stesso tempo, esse rischiano di costituire anche l’effetto boomerang dell’ipertrofia normativa in ambito IT a cui stiamo assistendo ormai da diversi anni.
I rischi maggiori per i nostri diritti fondamentali
L’interpretazione delle norme usate per convalidare l’arresto di Durov, sconfina in ambiti legati alla crittografia e può comportare delle conseguenze significative poichè, come spiega Lisi, “se applicata in modo troppo esteso, la normativa francese potrebbe comportare una violazione del principio generale di assenza di autorizzazione preventiva per l’accesso e l’esercizio dei servizi della società dell’informazione previsto dall’articolo 4 della direttiva 2000/31/CE (ancora in vigore)”.
Tutto questo non fa altro che alimentare il diffuso caos normativo in ambito internazionale e nazionale in cui stiamo vivendo, favorendo non solo interpretazioni giuridiche aberranti ma rendendoci anche estremamente manipolabili dentro (e fuori) dal web, con innegabili rischi per i nostri diritti fondamentali, in particolare per quello che più di tutti dovremmo custodire e difendere con doverosa attenzione: la nostra libertà di informazione.
Per ulteriori approfondimenti:
Privacy ed enforcement nel caso Telegram
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