5 anni da Cambridge Analytica: tutto è cambiato ma nulla è cambiato

Oggi, 12 luglio, ricorrono i 5 anni dalla maxi-sanzione che ha fatto seguito allo scandalo di Cambridge Analytica: il caso, per chi non lo ricordasse, aveva creato grande scalpore dopo che a marzo del 2018 era stata avviata un’indagine per il furto dei dati personali di circa 87 milioni di utenti Facebook, raccolti dalla società Cambridge Analytica per finalità elettorali.

Un evento che, oltre ad aver scoperchiato il vaso di Pandora, aveva sensibilizzato l’opinione pubblica sull’importanza del dato personale e di tutelare il nostro patrimonio informativo dalle azioni delle Big Tech.

Ma cosa è realmente cambiato da allora? L’Avv. Andrea Lisi ha provato a rispondere a questa domanda in un nuovo intervento sul suo Blog ospitato da “Il Fatto Quotidiano”.

Quel mare magnum normativo solcato dai colonizzatori di dati

Negli ultimi anni le Authority sono corse ai ripari sorvegliando con cura le attività dei grandi Player, comminando sanzioni sempre più severe e provando ad arginare raccolte di dati sempre più corpose. Attualmente, come è noto, la regolamentazione dei servizi digitali è affidata ad un groviglio di norme che si occupa di governare aspetti diversi dello stesso fenomeno: ne sono un esempio i Regolamenti eIDAS, GDPR, NIS, DSA, DMA, DGA, Data Act, DORA, ed il più recente AI Act, da oggi in Gazzetta europea. Nonostante tutto, però, i Colonizzatori di dati come Mark Zuckerberg continuano ad agire indisturbati, nutrendosi delle nostre identità digitali e profilando ogni nostra azione sul web.

L’illusione del controllo e la mancanza di consapevolezza

La reale sensazione è, quindi, che poco o niente sia cambiato da allora, non solo dietro le quinte dei mercati digitali ma anche (e soprattutto) tra gli utenti, che continuano a servirsi di piattaforme social senza curarsi delle informative e accettando profilazioni sempre più invasive. Lo stesso avviene anche con i sistemi di intelligenza artificiale generativa ai quali abbiamo dato in pasto le nostre informazioni per addestrare algoritmi quasi impeccabili. Si tratta ormai di un pericoloso governo di pochi che detengono i dati di tutti, a discapito dei nostri diritti e delle nostre libertà fondamentali.

 

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