La parola “spam” è entrata da tempo nel lessico comune. Dizionario alla mano, nella nozione di “spam” rientrano tutte quelle comunicazioni e-mail che il destinatario percepisce come fastidiose e indesiderate (qualcuno direbbe “moleste”) e che sono – pare corretto aggiungere – ingiustamente tali.
L’Avv. Andrea Lisi e l’Avv. Giovanni Ferorelli intervengono sulle pagine della Rubrica di Filodiritto “Bit Volant” per analizzare i confini giuridici dei meccanismi di automazione di alcuni processi comunicativi, limiti non sempre perfettamente chiari nella società odierna, soffermandosi in particolare sulle attualissime azioni di attivismo digitale portate avanti dal gruppo “MonitoraPA”.
I rischi dello Spam
Esistono tutta una serie di rischi sottesi al ricevimento di “spam” e il legislatore nazionale, sotto la spinta di quello europeo, è intervenuto con alcune norme specifiche, finalizzate a garantire correttezza e trasparenza, anche con riguardo alla protezione dei dati personali. Se, infatti, è pacifico che una proposta di acquistare un prodotto a un determinato prezzo possa essere ricondotta a una o più delle finalità contemplate dal Codice Privacy, che dire invece di una comunicazione e-mail dal contenuto opaco o dal dubbio tenore, o magari idonea a indurre il destinatario, con messaggi e/o suggerimenti più o meno velati, a aderire a soluzioni o servizi offerti solo in apparenza gratuitamente? O ancora, di una comunicazione e-mail in qualche modo idonea a promuovere l’immagine professionale del mittente?
Il Caso di MonitoraPA
Le caratteristiche delle azioni di attivismo digitale portate avanti da Federico Leva e dal “gruppo di hacker” riconosciutosi sotto l’etichetta di “MonitoraPA” sono ben note e si chiede ai lettori di valutare serenamente se tali azioni possano davvero ritenersi corrette in punto di diritto o piuttosto se – operando in questo modo e pur motivati da intenzioni positive di difesa di diritti digitali dei cittadini italiani – non si rischi di calpestare altri diritti fondamentali, generando peraltro un pericoloso fastidio verso la protezione dei dati.
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