Dalla mela morsa di Apple alle iniziali runiche di Bluetooth: il digitale non è altro che un racconto “aggiornato” dell’umanità, che vive grazie all’apporto di numerose vicende pregresse dalle quali trae continuo nutrimento.
È importante che questo “patrimonio” comune sia raccolto e interpretato correttamente dal diritto, finora “stordito” dall’innovazione e “imbrigliato” nell’ostinato mantenimento del rigore tradizionale in una forma che, spesso, non ha più sostanza. Ce ne siamo accorti vivendo un’emergenza “a colpi” di Dpcm che per molti studiosi potrebbero essere dichiarati incostituzionali.
L’Avv. Andrea Lisi e la Dott.ssa Francesca Cafiero, esprimono le considerazioni frutto del periodo vissuto sulle pagine di Milano Ambiente.
Una maggiore consapevolezza
Con la pandemia, abbiamo assunto un atteggiamento nuova nei confronti del digitale. Forse si tratta di uno dei pochi risvolti positivi dell’esperienza che abbiamo vissuto finora. La nostra vita può dipendere dalla rete? In parte sì. Ecco perché è necessario un cambio di prospettiva: occorre considerare il web al pari di un vero e proprio servizio pubblico.
Il digitale è il mezzo, non il fine
Basterà un calendario di riaperture, in combinazione ad una (claudicante) app di contact tracing, per far ripartire il Paese? La domanda resta aperta…è certo che stiamo comunque vivendo un profondo cambiamento, che è prima di tutto di percezione culturale e sociologica.
E dovrebbe implicare da qui ai prossimi mesi l’evoluzione di alcuni modelli di “governo” e “organizzazione” finora alla base della nostra “normalità”.
Ma allora quali rischi corriamo nell’immediato? Leggi l’articolo completo direttamente dalle pagine di Milano Ambiente