Impazza la moda di Face App sui social, l’applicazione in grado di modificare il nostro volto attraverso diverse tipologie di “filtri”. Il trend “dell’app che invecchia”, prodotta da una società russa con sede a San Pietroburgo, la Wireless Lab OOO, conta circa ottanta milioni di download, da moltiplicare esponenzialmente per il numero di reali utilizzatori.
Centinaia di migliaia di persone che cercano di scrutare il futuro che le attende, trascurando tuttavia i potenziali rischi ai quali attualmente espongono la propria immagine.
Un dejà vu che non ha bisogno di filtri a un occhio ormai abituato a scrutare tra le pieghe del divertimento effimero che oggi è possibile raggiungere popolando i propri dispositivi di app gratuite. Siamo tutti, oramai, (s)oggetti inesorabilmente profilati e molte delle decisioni che ci riguardano sono prese attraverso processi automatizzati. Occorre rendersene conto, in qualsiasi circostanza.
Gli esempi di mercificazione dei nostri dati personali, anche in ambito lavorativo, sono all’ordine del giorno e FaceApp è l’ultimo anello di una lunga catena di potenziali “minacce” che puntano a setacciare la nostra esistenza inconsapevolmente (o consapevolmente?) allo scopo di comprimere progressivamente i nostri diritti e libertà fondamentali. E ciò avviene – come per tantissimi altri strumenti social o app che ormai utilizziamo come pane quotidiano semplicemente – “invecchiando” una nostra foto. Presupposto di funzionamento dell’app è, infatti, l’upload di una fotografia del volto da modificare direttamente sui server della società. Insomma nulla di nuovo nonostante il tanto clamore suscitato da questa ennesima app che sostanzialmente si comporta come tante altre, informandoci poco sulle reali finalità del trattamento e sulle possibilità di riutilizzo e condivisione con terzi dei nostri dati.
E il consenso al trattamento dei nostri dati personali è necessario o no? Si tratta in realtà di un’accettazione implicita dei trattamenti che la Wireless Lab effettuerà sui dati ceduti dall’utente, il quale dichiara di “accettare” tout court le condizioni contrattuali al momento stesso del download dell’app, ivi comprese le molto generiche finalità per le quali FaceApp si riserva anche il diritto di condividere tali dati connessi alla nostra identità digitale con altre società del suo Gruppo presenti e future e con una serie di soggetti genericamente definiti come “Affiliati”. In poche parole, siamo noi che spensieratamente (e in linea peraltro con la normativa europea) consentiamo questi trattamenti necessari all’esecuzione di un servizio (pur teoricamente gratuito) da noi richiesto. E il prezzo di questo servizio sono infatti i nostri dati, ghiottisima merce di scambio ormai a livello generalizzato nel mondo della società dell’informazione!
E il controllo sulla nostra immagine? E sui “dati biometrici” in essa contenuti? Prima di tutto – se si tratta di “lavorare” semplici foto – difficilmente possiamo considerare la sola foto un dato biometrico, come impropriamente si sta affermando in questi giorni. Comunque in merito al controllo della foto del nostro volto, sebbene sia alquanto difficile intervenire ex post, occorre ricordare anche che i diritti di immagine si annoverano tra i c.d. “diritti indisponibili” previsti dal nostro ordinamento giuridico, ossia quei diritti di natura soggettiva che non possono essere trasmessi dal titolare a un altro soggetto. È possibile, semmai, prestare il consenso all’utilizzo della propria immagine, conservando però il diritto di revocarlo in qualsiasi momento.
È bene chiarire, quindi, che le nostre foto (o peggio quelle di amici e parenti che in maniera ignara partecipano “allo scherzo”) – nonostante condizioni generali di servizio poco chiare – non possono diventare magicamente “di proprietà” di FaceApp (salvo commettere un illecito).
La sensazione di divertimento che deriva da queste applicazioni, lascia però il posto a quella di impotenza di fronte a un ineluttabile scenario che ci riguarda sempre più da vicino, dove i nostri diritti e libertà fondamentali sono calpestati in maniera “scherzosa” e – nonostante il nostro ordinamento comunque astrattamente ci tuteli – risulta sempre più difficile rientrare in pieno possesso delle nostre identità digitali che ormai lasciamo viaggiare indisturbate su canali sui quali non disponiamo di alcuna garanzia o controllo effettivo.
Probabilmente tra tutte le immagini falsamente attempate che popolano il web, solo una è in grado di restituirci un quadro abbastanza verosimile del futuro che ci attende: l’immagine di un’Italia senza filtro, semi sommersa, a causa del discioglimento dei ghiacciai.
Uno scenario tutt’altro che utopistico, che ha a che fare con ben altre “emergenze” che stanno sfuggendo alla nostra, sempre più evanescente, attenzione.
E non si tratta purtroppo di uno scherzo.
[Articolo pubblicato all’interno del Blog di Andrea Lisi su Il Fatto Quotidiano]