Smart working: da misura emergenziale a piccola (grande) rivoluzione

Diventata una delle misure essenziali per contrastare il diffondersi della pandemia da Covid-19, lo smart working è uno dei “simboli” del cambiamento radicale delle nostre abitudini di vita, in particolare lavorative, introdotto dell’emergenza sanitaria.

Ciò era già stato evidenziato dal decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, che agli artt. 87 e 87 bis considera il lavoro agile quale modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni.

 

Cos’è (veramente) lo smart working?

Per smart working si intende una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro basata su un accordo tra dipendente e datore, caratterizzata dall’assenza di vincoli orari o spaziali e da un’organizzazione per obiettivi. L’efficacia di questa modalità si rivela soprattutto nella capacità di conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, di favorire la crescita della produttività, da parte del dipendente.

In realtà, occorre risalire a tempi ben anteriori al dilagare della pandemia per ritrovarne la definizione nel nostro ordinamento, contenuta nella Legge n. 81/2017. Si pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Ai “lavoratori agili” si garantisce altresì la parità di trattamento – economico e normativo – rispetto ai colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie.

 

Lo smart working nelle PA

Negli ultimi tempi abbiamo assistito al susseguirsi di una serie di decreti emanati dal Governo volti a regolamentare lo svolgimento dell’attività lavorativa nella PA in modalità smart.

Anche l’ultimo DPCM del 3 novembre 2020 raccomanda il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza. All’art. 5 comma 4 si prevede che ciascun dirigente della PA – salvo per il personale sanitario e per chi è impegnato nell’emergenza – si impegni nell’assicurare “le percentuali più elevate possibili di lavoro agile, compatibili con le potenzialità organizzative e con la qualità e l’effettività del servizio erogato” e “con le modalità stabilite da uno o più decreti del Ministro della Pubblica amministrazione”.

Ovviamente questo non è l’unico provvedimento normativo in cui si parla di lavoro agile. In più occasioni Il Governo ha raccomandato il ricorso a tale modalità lavorativa, in modo da limitare il più possibile gli spostamenti.

Basti pensare anche al recente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 ottobre 2020 che all’art. 3, comma 3, dispone che “nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art.1 comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, è incentivato il lavoro agile con le modalità stabilite da uno o più decreti del Ministro della pubblica amministrazione, garantendo almeno la percentuale di cui all’art. 263, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34”, ovvero almeno il “50 % del personale impiegato nelle attività che possono essere svolte in tale modalità” .

E ancora, il Ministro della PA Fabiana Dadone ha emesso il Decreto Ministeriale del 19 ottobre 2020 “Misure per il lavoro agile nella pubblica amministrazione nel periodo emergenziale” affermando all’art.1 che il lavoro agile nella pubblica amministrazione costituisce una delle modalità ordinarie   di   svolgimento  della   prestazione lavorativa e che fino al termine del periodo emergenziale per accedere al lavoro agile non è richiesto l’accordo individuale di cui all’art.  19  della  legge  22 maggio 2017, n. 81.
In linea con quanto anticipato, si specifica inoltre che il lavoro agile si svolge ordinariamente in assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro e può essere organizzato per specifiche fasce di contattabilità, senza maggiori carichi di lavoro.

In ogni caso, al lavoratore devono essere garantiti i tempi di riposo e di disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Inoltre, i dipendenti in modalità agile non devono subire penalizzazioni professionali e di carriera. Il lavoratore agile alterna giornate lavorate in presenza a giornate lavorate da remoto, con una equilibrata flessibilità e comunque alla luce delle prescrizioni sanitarie vigenti e di quanto stabilito dai protocolli di sicurezza.

 

PA, nasce l’Osservatorio nazionale del lavoro agile

La conferma dell’importanza dello smart working  nelle Pubbliche Amministrazioni è stata affermata anche dal Ministro Dadone che il  4 novembre ha firmato il decreto che istituisce l’Osservatorio Nazionale del lavoro agile, organismo che nasce allo scopo di fornire spunti e proposte di carattere normativo, organizzativo o tecnologico per migliorare sempre più lo smart working nelle Pa.  Lo scopo è quello di  garantire lo sviluppo delle competenze del personale pubblico, le capacità manageriali dei dirigenti, la misurazione e valutazione delle performance organizzative e individuali.

 

E nel privato?

Mentre nel settore pubblico il ricorso alla modalità del lavoro agile è disciplinato in maniera dettagliata e incisiva, nel settore privato la decisione è quasi “libera”, affidata all’orientamento del datore di lavoro. Tuttavia il DPCM del 3 novembre all’art. 5 c. 6 raccomanda “fortemente l’utilizzo della modalità di lavoro agile da parte dei datori di lavoro privati”.

Quindi, nel privato siamo fermi ad una raccomandazione, che di fatto non vincola in maniera incisiva i datori di lavoro, di tutti i settori, a riorganizzarsi in modalità agile.

 

Conclusioni

I vantaggi connessi al ricorso allo smart working stanno emergendo con sempre maggiore evidenza, non solo per il contrasto alla pandemia. Si tratta di una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro, innovando alcuni modelli ancora ben radicati (nel pubblico e nel privato).

Affinché possa funzionare pienamente è anche necessario che il lavoratore sappia bilanciare la propria “disponibilità”, per evitare di diventare una vittima inconsapevole di abitudini dettate dalla tecnologia, che possono risultare dannose nel lungo periodo.

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