Da tempo, in molti si chiedono se la legislazione emergenziale “a colpi di Decreto” ai tempi del Coronavirus sia o meno costituzionalmente “legittima”.
Dapprima per le sanzioni penali irrogate a chi viola i divieti di spostamento e ancor prima, per ciò che concerne le restrizioni di libertà dei cittadini; ora la problematica riguarda nuovamente l’ultimo DPCM del 26 aprile, il quale regolamenterà i nuovi comportamenti e divieti da rispettare nella tanto attesa Fase 2.
Limitazioni per Decreto “discriminatorie e illegittime”
Si è continuato a comprimere (limitare e sospendere sine die) l’esercizio di diritti e libertà fondamentali, quali, ad esempio: la libertà personale (Art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (art 16 Cost.), la libertà di riunione (Art. 17 Cost.), la libertà di iniziativa economica (Art. 41 primo Comma Cost), nonché i diritti derivanti dalla garanzia e dall’obbligo di istruzione (articolo 34 Cost).
La sospensione di questi principi-cardine del nostro ordinamento trae origine – e viene legittimata – in un altro principio fondamentale della nostra Carta Costituzionale, e cioè dall’articolo 32 che così recita: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (…).
Un principio che classifica la salute non soltanto come un bene individuale, ma quale patrimonio della collettività da tutelare e salvaguardare.
Non si può, però, esimersi da osservazioni e critiche sulla possibilità che alcuni diritti costituzionalmente garantiti possano essere limitati o sospesi, come ad esempio il diritto alla libera circolazione, a beneficio del diritto, sempre costituzionalmente garantito (e quindi di pari rango) alla salute. A tal proposito, nel 1974, un costituzionalista quale Alessandro Pace, scriveva: Va subito affermato che non sembra che l’art. 13 possa cedere all’art. 32; pertanto tutte le restrizioni coattive per motivi di sanità devono di necessità seguire la via giurisdizionale prevista da quell’articolo.
Si tratta in ogni caso di operare un bilanciamento tra beni costituzionalmente garantiti, che vede il prevalere del diritto alla salute pubblica (con tutti i suoi risvolti) sugli altri con la possibilità in capo al legislatore di poter comprimere o sospendere alcune libertà costituzionalmente garantite.
Un’emergenza a colpi di Decreti
Veniamo al punto: prevedere delle restrizioni delle libertà personali di questo tipo con un “semplice” Dpcm – dunque non tramite un atto legislativo – è del tutto illegittimo e lesivo della Costituzione.
Infatti, è solo per Legge o per provvedimento dell’Autorità Giudiziaria, che tali diritti possono trovare limitazione ed essere temporaneamente regolati in caso di necessità. È la Costituzione stessa a prevedere espressamente i casi in cui si possano comprimere tali diritti.
Dal 31 gennaio, data in cui è stato dichiarato lo Stato di emergenza della durata di sei mesi, non si può non notare come tutte le misure previste dal piano di prevenzione, prima per la “Fase 1” e poi per la tanto attesa “Fase 2”, siano state disciplinate solo e soltanto da decreti Legge, Dpcm, decreti ministeriali altrettanto illegittimi e ordinanze regionali.
Ne consegue che tutte le misure, oltre le restrizioni come anzi detto, dovrebbero essere disciplinate da Leggi; la stessa App Immuni dovrebbe essere regolamentata da un atto diverso da un decreto proprio perché limita, seppur in modo facoltativo, la libertà personale; occorre una legge che possa disciplinare l’uso corretto di questo strumento altrimenti si rischiano gravi violazioni di trattamento dei dati personali.
Infine, ci si chiede come sia stato possibile paragonare uno stato di emergenza ad uno stato di Guerra (art. 78 Cost.) in cui possono essere attribuiti tutti i poteri necessari al Governo. Non è, neanche, lontanamente possibile effettuare interpretazione analogica poiché l’art. 78 della Costituzione parla espressamente di Stato di Guerra.
La posizione dell’Ex Presidente della Corte Costituzionale
Il carattere fortemente limitativo delle misure previste per il contenimento dell’epidemia imporrebbe la promulgazione di una legge (o comunque un atto avente forza di legge) e non quindi di decreti del presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm), ordinanze (del ministro della Salute o del presidente della Regione).
Tanto che il Governo, per uscire da questa impasse, ha ritenuto di applicare l’art. 24 del Codice della Protezione civile (Coproc) per dichiarare lo stato di emergenza sanitaria (Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio).
È quanto affermato dall’ex Presidente della Consulta, Antonio Baldassarre. Il costituzionalista si sofferma nello specifico sull’adozione del termine “congiunti”: può essere usato come sinonimo di parenti ma mai affini, esclude certamente gli amici attraverso un pregiudizio familistico. E privilegia in modo incostituzionale, perché discriminatorio, chi è legato da un rapporto affettivo diverso dalla classica famiglia“. Ma ci si ricorda della famiglia solo in questo caso? E le coppie di fatto, che convivono senza legame nè di parentela nè di affinità: che fanno, non si possono incontrare perchè non rientrano nella categoria?”.
Per l’inaugurazione della Fase il Governo sembra propendere per orientare le proprie scelte verso “il pregiudizio familistico”. Ciò che preoccupa, oltre alla forma è dunque anche la sostanza di queste ultime disposizioni, poiché ci si sta approfittando di una situazione grave con disposizioni costituzionalmente assolutamente illegittime.
L’analisi non può che concludersi con un’ultima riflessione sul punto di convergenza tra forma e sostanza di quanto fin qui attuato, che trova in un “piccolo” elemento un punto cruciale di intersezione: il “noi” adottato dal Presidente del Consiglio Conte, nel corso della presentazione delle misure recentemente varate.
Richiamiamo a tal proposito le parole di Antonio Baldassarre: C’è una concezione autoritaria dietro al ‘noi consentiamo’ di Conte. Deriva dal fatto che il Dpcm è un atto amministrativo individuale. Prevede limiti alle libertà costituzionali che non hanno base in un atto legislativo.