Insultò il capo in chat. L’avv. Lisi commenta la sentenza della cassazione in difesa della segretezza

Una recente ordinanza della Cassazione Civile sez. lav. del 06/09/2018 n. 21719 , cambia le carte in tavola rispetto ai numerosi casi di licenziamento verificatesi in Italia negli ultimi mesi, da nord a sud, da Trieste a Taranto, che hanno avuto come protagonisti dipendenti “pizzicati” a scambiare via chat e-mail insulti diretti ai capi.

Ebbene la Cassazione ha confermato quanto ribadito dalla Corte d’appello di Bologna e cioè ha considerato infatti che si ponesse “sul piano della manifestazione della libertà di pensiero e dell’esercizio del diritto di critica”, lo scambio di messaggi avvenuto tra colleghi, rispettoso sia della continenza sostanziale sotto il profilo soggettivo, stante la coincidenza di pensiero con un volantino anonimo diffuso per posta elettronica ai soci, sia della continenza formale, tenuto altresì conto del tipo di linguaggio normalmente utilizzato in tali forme di comunicazione”.

Non si può dunque essere licenziati per aver pronunciato, nel corso della conversazione, un insulto diretto ai capi. L’avv. Andrea Lisi chiarisce i contorni della vicenda, in un’intervista rilasciata a Radio Monte Carlo.

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