App per tracciare i contagi: tra diritto alla salute e diritto alla privacy

È in fase di test l’app che permetterà di ricostruire i movimenti dei cittadini e segnalare chi è entrato in contatto con persone positive al coronavirus, rischiando, di conseguenza il contagio.
Sembra che questa applicazione sarà realizzata da Bending Spoons, tra le più importanti azienda italiane di sviluppo App, Jakala, una società di marketing digitale con grandi competenze sulla georeferenziazione e Geouniq, che ha sviluppato un programma di geolocalizzazione capace di individuare la posizione di un cellulare con un errore marginale di soli 10 metri.

L’app propone di tracciare in tempo reale i movimenti delle persone e, in caso di positività al COVID-19, di avvertire chi è entrato in contatto con loro per individuare in tempo utile lo sviluppo di possibili nuovi focolai o scongiurare nuove ricadute. L’ app conterrebbe anche un “diario clinico” per la early detection, al fine di individuare precocemente le infezioni.

Cosa è in grado di fare…

L’app “anti-coronavirus” sarà scaricabile (volontariamente?) su smartphone e permetterà, una volta individuati i positivi, di ricostruire tutti i loro movimenti in maniera retroattiva, ossia nelle settimane antecedenti e di mandare un messaggio a chi ha avuto contatti con loro, in modo che si possa attivare immediatamente la quarantena.

La sua utilità si rivelerà anche nel lungo periodo: servirà in questa fase a contenere l’epidemia, grazie all’individuazione tempestiva di potenziali focolai e, quando il contagio da coronavirus sarà diminuito, ma non del tutto debellato, per prevenirne il ritorno. Potrebbe, inoltre, essere anche un valido strumento per rilevare assembramenti a rischio o comportamenti contrari alle disposizioni normative in vigore.

L’uso della tecnologia per fermare l’emergenza nazionale rappresenta un’eccezione nelle democrazie occidentali, ma è stato già sviluppato e sperimentato con successo in Corea del Sud, Singapore e Cina, sebbene il controllo “massivo” di dati e persone avesse un diverso livello di integrazione con le politiche sanitarie nazionali.

…nei limiti dei nostri diritti?

Seppur vero che ci si trova dinanzi ad un’emergenza sanitaria, con effetti di lungo termine sul tessuto economico e finanziario di ambito nazionale -e non solo- è importante non abiurare i diritti fondamentali del cittadino.
In questo momento storico, si sa, ci sono dovute e necessarie limitazioni del diritto alla privacy in ottemperanza anche del GDPR (Regolamento europeo n. 2016/679), il quale riconosce, difatti, la protezione del trattamento dei dati personali delle persone come diritto fondamentale, sebbene non assoluto: non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità (GDPR. Considerando n. 4).

Indispensabile, quindi, considerare i limiti nel trattamento dei dati personali in riferimento all’App, poiché un controllo massivo e non regolamentato porterebbe a decapitare la democrazia, che il nostro Paese si è guadagnata con tanta fatica.
Non si discute sull’utilità della tecnologia che porterebbe aiutare a risanare l’emergenza sanitaria in atto, ma vi è un profilo quasi invisibile che è quello di garantire scelte e modelli che siano conformi al nostro ordinamento giuridico, ed in primis alla Costituzione, sicuramente differente da quelli di altri Paesi.

 

La posizione del Garante privacy

Il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, in sua recente intervista ha affermato: il modello cinese, con la sua sorveglianza totale, figlia di una sorta di imperialismo digitale, non può essere un nostro riferimento. Neppure quello coreano perché in Corea c’è una cultura di fondo, sociale e giuridica, molto distante dalla nostra. Quello che voglio dire è che pensare di trasferire meccanicamente quelle esperienze nel nostro paese è il frutto di momento emotivo che, arrivo a dire, può essere giustificato. Ma chi ha la responsabilità di governare si deve ispirare alla nostra Costituzione e non al governo dell’emozione. Anche in tempo di guerra il diritto deve guidare la scelta di atti necessari. 

Si tratta, quindi, di tutelare il diritto fondamentale alla salute che, ad oggi, è certamente la priorità, ma nel farlo è necessario garantire un adeguato bilanciamento.
Ben venga quindi una raccolta di dati non identificativi e in forma anonima nel pieno rispetto dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e necessità, ma se per tracciare il contagio occorrono dati identificativi è indispensabile farlo nel pieno rispetto di garanzie allineate con il nostro sistema di diritto: appare impensabile improvvisare e adattare pedissequamente il modello sudcoreano.

E’ opportuno segnalare, a tal proposito, l’iniziativa promossa da ANORC e in particolare dagli Avv.ti Andrea Lisi ed Enrico Pelino che, in qualità di giuristi hanno richiamato l’attenzione delle istituzioni preposte sulle delicate problematiche afferenti alla protezione dei dati personali, nonché sulle regole di diritto e sulle più basilari esigenze di buonsenso, poiché si percepisce un significativo rischio di derive e utilizzi gratuiti.

Inoltre, l’uso di piattaforme già note, quali Google e Facebook, potrebbero portare ad un utilizzo di dati massiccio e incontrollato: il loro coinvolgimento dovrebbe avvenire nei limiti che garantiscano la sola utilità della tutela della salute pubblica collettiva.

“La tecnologia non tiene lontano l’uomo dai grandi problemi della natura, ma lo costringe a studiarli approfonditamente” scriveva Antoine de Saint-Exupéry.

 

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