Responsabilità di un ente ai sensi della L. 231/2001: commento a una sentenza della Cassazione

Nella sentenza 18.01.2011 n. 24583 la V Sez. penale della Suprema Corte ha nuovamente ripercorso le condizioni che devono sussistere congiuntamente affinché possa configurarsi la responsabilità di un ente ai sensi della L. 231/2001. La vicenda che ha dato origine alla pronuncia involge la commissione di illeciti amministrativi dipendenti dal reato di corruzione contestato al soggetto posto al vertice di una holding: nel caso in oggetto, le società controllate, pur riconducibili  allo stesso gruppo finanziario, non avevano ricevuto tutte dei vantaggi derivanti dalla corruzione e, quindi, il GUP competente aveva correttamente ritenuto di disporre solo per alcune di esse il rinvio a giudizio.

In particolare, la Cassazione ha ribadito che nell’ambito di una holding è da escludersi la responsabilità amministrativa di una società controllata qualora, nel caso di specie, non sia possibile provare:

· che sia stato commesso uno dei reati di cui al D. Lgs. n. 231 del 2001;

· che il reato presupposto sia stato commesso da una persona fisica che abbia con la società rapporti di tipo organizzativo-funzionale, vale a dire che l’agente deve rivestire una posizione qualificata all’interno della controllata;

· che il soggetto che agisce per conto delle stesse società partecipate dalla capogruppo concorra con il soggetto che commette il reato: non è, cioè, sufficiente un generico riferimento alla holding per affermare la responsabilità della società ai sensi del D. Lgs 231 del 2001, bensì occorre dimostrare che il soggetto, oltre ad aver agito nell’interesse proprio o di terzi, ha posto in essere condotte aventi rilevanza penale anche nell’interesse della società;

· che il reato presupposto sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio della società controllata, interesse e vantaggio che debbono essere verificati in concreto, nel senso che la società deve ricevere una potenziale o effettiva utilità, anche non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto.

Da questo intervento della Suprema Corte appare chiaro che, affinché si possa configurare una responsabilità da illecito amministrativo dipendente da reato in capo ad una società appartenente ad una holding, è imprescindibile individuare il concreto ed effettivo interesse o vantaggio da questa percepibile in conseguenza del reato commesso dal soggetto agente. E questo, come è ovvio, non può non essere strettamente connesso al tipo di attività svolta dall’ente, al settore in cui si trova ad operare, poiché questo aspetto costituisce il vero discrimine per l’individuazione di un eventuale vantaggio derivante dal reato. Tale aspetto, infatti, è stato correttamente posto in rilievo dal Gup – e poi confermato dalla Cassazione – il quale ha deciso di non chiedere il rinvio a giudizio per quelle società controllate che, non operando nel settore sanitario, non avrebbero potuto trarre vantaggio dalla commissione del reato, anche se appartenenti al medesimo gruppo finanziario.

Sulla base di quanto detto sin ora, viene in rilievo ancora una volta l’importanza di un’accurata redazione del Modello organizzativo di cui al D. Lgs. 231/2001, che deve essere stilato ponendo la giusta attenzione all’individuazione degli ambiti di operatività della società, senza fare ricorso a mere formule o a modelli organizzativi standardizzati, e alla prevenzione di quelli che costituiscono i potenziali rischi di commissione di illeciti amministrativi che sono propri dei diversi campi di attività in cui un ente può operare, evitando così il rischio che il Modello organizzativo adottato si riveli inadeguato al vaglio dell’Autorità giudiziale.