Protezione dei dati personali e tutela dall’ambiente viaggiano in parallelo

Nella difficile situazione di emergenza che stiamo vivendo, una piccola nota positiva, di non poco conto, dovrebbe farci riflettere, anche relativamente al tema della corretta gestione dei dati: la riduzione dell’inquinamento atmosferico.

Questione di statistiche (e non solo)

Secondo alcune statistiche rilevabili dall’EEA (l’European Environment Agency), nelle corso delle ultime settimane si registra una notevole riduzione della concentrazione di inquinanti atmosferici – in particolare di monossido e biossido di azoto (NO2) – principalmente dovuta alla riduzione del traffico, certamente, ma anche e di altre attività di natura commerciale/industriale.

Le osservazioni satellitari della Nasa hanno confermato questo trend in Cina, con la diminuzione significativa dei livelli di biossido di azoto (NO2) del pianeta a seguito della riduzione delle attività delle fabbriche imposta dalle autorità per contenere il contagio.

Le misure attuate per contenere la diffusione del coronavirus, pur comportando da una parte il blocco totale di alcune attività e della libertà di circolazione, hanno certamente favorito la riduzione dell’inquinamento atmosferico, stravolgendo la nostra quotidianità “in positivo” per alcuni aspetti..

L’uso della tecnologia può influire su questi valori? Esiste un rapporto tra inquinamento e “libera circolazione” dei dati?

 

Tutela dell’ambiente e uso delle tecnologie

Certamente questo “lockdown” senza precedenti nella storia recente potrebbe segnare un incisivo punto di svolta, tuttavia, non meno importante si rivela l’influenza del cattivo uso della tecnologia.

È quanto già sottolineava l’ex Garante Europeo per la protezione dei dati personali,  Giovanni Buttarelli, in un passaggio molto interessante del suo “Manifesto per il futuro della privacy in Europa“, affermando che la protezione del dato, se applicata a dovere, può servire anche a tutelare l’ambiente: l’uso e consumo intensivo di video, intelligenza artificiale, internet delle cose e smart device di vario tipo raddoppierà il consumo di energia nei prossimi quattro anni. Non dimenticando anche l’alto consumo energetico della blockchain, i soli servizi digitali incideranno per il 10% sui consumi complessivi nei prossimi anni. A ciò si aggiunga che computer e smartphone vivono in media dai due ai quattro anni, sono difficilmente riciclabili e sono progettati in modo da preferire una loro sostituzione piuttosto che una riparazione. L’applicazione del principio del GDPR della minimizzazione dei dati, secondo cui devono essere trattati e conservati solo i dati necessari, e una maggior condivisione degli stessi per motivi di ricerca e per perseguire un interesse pubblico porterebbero sia a un minor consumo sia aiuterebbero a usare queste stesse tecnologie per ridurre ulteriormente l’inquinamento.[1]

Aggiungendo che “nella società attuale abbiamo a disposizione tanti strumenti informatici, molti anche utili, le nostre vite sono continuamente online… ma tutto questo lo viviamo passivamente. Il risultato è che c’è qualcun altro che raccoglie informazioni su di noi. Il guaio è che queste informazioni non servono soltanto per profilazione commerciale, che già è fastidiosa, ma servono anche per disegnare i nostri comportamenti”.

 

 

La protezione dei dati personali e la tutela dell’ambiente

Dunque è importante comprendere come il rispetto delle norme poste e a tutela della protezione dei dati personali, ed in particolare l’applicazione di alcuni principi, tra cui quello di minimizzazione dei dati (secondo cui la fase di raccolta deve essere adeguata e pertinente e la conservazione limitata nel tempo nel rispetto alle finalità del trattamento) possa contribuire nel tempo anche alla riduzione notevole dell’inquinamento.

 

La doppia veste dell’innovazione tecnologica

L’innovazione può rivelarsi un’arma a doppio taglio: da un lato abbiamo nuovi sistemi che facilitano le interazioni della nostra “sfera pubblica”, attraverso nuove modalità di fruizione dei servizi pubblici, partecipazione alla vita politica, forme di  di comunicazione; dall’altro, spesso, si tende ad uno uso spropositato e pervasivo delle tecnologie nella “sfera privata” che, spesso a nostra insaputa, comportano seri “danni” non solo in termini di “cessione” dei nostri dati personali, ma ancora provocare un danno per l’ambiente.

Questi danni sono spesso dovuti ad un fattore significativo da considerare: il digital divide, ovvero il divario fra singoli individui o gruppi sociali all’interno del Paese in riferimento all’accesso e all’utilizzo consapevole dei servizi online. La causa del digital divide in Italia è solo in minima parte ascrivibile a un problema infrastrutturale e bisognerebbe affrontarlo attraverso una rinnovata consapevolezza, anche nei riguardi dei problemi ambientali.

Una vera padronanza delle competenze digitali non può che portarci anche a riflettere sugli effetti che l’attuale squilibrio tecnologico può avere sull’ambiente: un tema con il quale ci stiamo confrontando in questi giorni e che l’ex Garante Europeo, Giovanni Buttarelli, aveva pioneristicamente sottolineato nel suo testamento.

Alle porte degli anni Venti del 21esimo secolo a nessuno è concesso di ignorare l’importanza del rapporto tra ambiente e innovazione digitale, per porre oggi le basi per una corretta gestione anche del “traffico” dei nostri dati, nel rispetto di quanto previsto dal GDPR e di una rinnovata sensibilità nei riguardi del pianeta.

[1] Da: Privacy 2030: a New vision for Europe.