Il Ministro Brunetta ha annunciato che il 26 aprile è partita in Italia la Posta Elettronica Certificata gratuita per tutti coloro che ne fanno richiesta. Con il presente breve commento eviteremo di sottolineare le problematiche relative al fatto che si concentra l’azione del Governo su uno strumento poco costoso per chi lo intende utilizzare, piuttosto che soffermarsi sulle tante problematiche di connettività e di alfabetizzazione informatica che affliggono da tempo i cittadini italiani. Inoltre, eviteremo di sottolineare, come già fatto in passato proprio sulle pagine del Corriere, che il Bando per l’assegnazione della CEC-PAC (Comunicazione Elettronica Certificata tra Pubblica Amministrazione e cittadino) sembrava scritto per favorire qualcuno e, infatti, il servizio è stato assegnato – come volevasi dimostrare – al raggruppamento temporaneo di impresa costituito da Poste Italiane, Postecom e Telecom Italia, tanto che gli esclusi Lottomatica e Aruba, insieme all’operatore Fastweb, hanno ufficialmente contestato l’aggiudicazione, chiedendo il coinvolgimento del Tar del Lazio. E, quindi, proprio per tale motivo è giusto lasciare la parola all’organo giudicante.
Ci concentreremo, invece, sulle tante problematiche giuridiche che l’utilizzo “massivo” della PEC comporta per PA, imprese, professionisti e cittadini italiani.
La PEC (intesa come Posta Elettronica Certificata) è stata introdotta nel nostro ordinamento con il DPR 11 febbraio 2005, n. 68. Nelle intenzioni del legislatore, tale strumento, ritenuto indispensabile per l’informatizzazione della PA, era semplicemente destinato ad affiancare il documento informatico e la firma digitale, ma senza sostituirli. E questo costituisce il primo problema, molto grave, generato da queste caotiche normative che si sono accavallate nel tempo in materia di PEC, nelle quali si confonde il contenitore (PEC) con il contenuto (documento trasmesso).
Inoltre, nel DPR citato non è previsto un preciso obbligo di identificazione del titolare della PEC all’atto della richiesta di attivazione del servizio; mentre tale obbligo si ricava dalle regolamentazioni della CEC PAC (servizio – si ricorda – che ha una efficacia solo tra cittadini e PA e viceversa, ma non serve a sostituire la PEC). Questo genera caos interpretativo e una sorta di doppio binario tra PEC tradizionale e CEC PAC (così detta PEC gratuita).
Oltre a ciò, nessuno oggi si sta ponendo con la dovuta attenzione le tante problematiche che l’adozione massiva della PEC e della nuova CEC PAC comportano in termini di protocollazione, gestione di buste, certificati, documenti informatici con formati diversi e loro corretta conservazione nel tempo. Infatti, secondo art. 43 del Codice della amministrazione digitale (D. Lgs. 82/2005) i documenti informatici, di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, possono essere archiviati per le esigenze correnti anche con modalità cartacee e sono conservati in modo permanente con modalità digitali. L’utilizzo della PEC, quindi, impone al mittente la necessaria conservazione dei contenuti e dei documenti trasmessi, nonché delle relative ricevute di invio e di ricezione e al destinatario la conservazione della busta ricevuta e dei relativi contenuti. A ciò si aggiunga che la conservazione della PEC è disponibile oggi solo come servizio a pagamento in capo ai gestori di PEC, i quali invece possono ex lege limitarsi a conservare per soli 30 mesi esclusivamente i log di trasmissione dei messaggi che transitano nel sistema. In assenza di un obbligo di conservazione, pertanto, l’utilizzo massivo comporterà per l’utente l’inevitabile problematica di gestire una notevole massa di informazioni correlata alla spedizione/ricezione di messaggi e documenti, con conseguente necessità di avvalersi di strumenti di gestione e archiviazione elettronica (DMS) e, infine, di conservazione a norma di tali certificazioni (oltre che di archiviazione e conservazione a norma dei documenti trasmessi e ricevuti).
In questo disordine imperante, generato da norme che si accavallano e si contraddicono tra loro, i primi a pagarne le conseguenze saranno – come al solito – proprio i cittadini che per primi attiveranno gratuitamente il servizio di CEC PAC. Infatti, secondo la nuova normativa in materia, per i cittadini che utilizzeranno il servizio di “Simil-PEC”, l’indirizzo valido ad ogni effetto giuridico, ai fini dei rapporti con le pubbliche amministrazioni sarà quello espressamente rilasciato gratuitamente sulla base di questi innovativi articoli. Insomma, da una parte si regala, ma dall’altra si prevede in capo al cittadino l’elezione di un domicilio informatico, senza averlo adeguatamente informato e formato ai sensi dell’art. 8 del CAD!
Sorge spontanea una domanda: possiamo veramente permetterci di imporre spensieratamente uno strumento, che potrebbe pure rivelarsi utile come la PEC, se non ne abbiamo adeguatamente studiato e approfondito gli impatti organizzativi, di processo e strettamente giuridici nei rapporti tra la PA e i suoi utenti?
Fonte: Corriere delle Comunicazioni
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http://corrierecomunicazioni.it/?section=archivio&anno=2010&numero=9