Odio online e Digital Services Act: l’audizione del Garante della Privacy

La diffusione dei fenomeni di odio online, ormai, è sempre più frequente su ogni tipo di piattaforma dai semplici Forum, ai social fino a sfociare nelle chat. Il fenomeno non è nato con la rete ma è semplicemente un riflesso della nostra realtà quotidiana. La possibilità di essere protetti da uno schermo ha alimentato ed aumentato in modo rilevante tale fenomeno.

Il 13 luglio 2021, il Presidente del Garante della protezione dei dati personali il Prof. Pasquale Stanzione ha tenuto un’audizione proprio in merito al tema.

L’audizione del Garante

L’odio online assume svariate forme in svariate età. In quella più giovanile, in media i ragazzi di medie e liceo si trasforma in un bullismo trasposto dalla classe al web. Il Garante la definisce l’età della rabbia, un fenomeno legato sicuramente a una scalata sociale dovuto al sistema di like ed engagement sui contenuti online.

Come premesso, oltre a essere dietro uno schermo, in tal caso si fa affidamento sulla protezione del gruppo stesso che aggredisce la minoranza. In questa “guerra” online a risentirne sono appunto utenti più vulnerabili o che vengono catalogati nella sfera del “diverso”. Di conseguenza, si tende sempre più a rafforzare il concetto di esclusione e di discriminazione sociale. Queste dinamiche non sono solo presenti in un contesto giovanile, lo stesso Facebook presenta una situazione analoga creata da una community di fascia d’età ben superiore ai 35 anni.

Il Presidente specifica che vi è già un sistema di tutela penale, e salvo alcune piccola integrazione potrebbe già considerarsi completa. Bisognerà sicuramente integrare il campo civile, così da porre rimedio “Il public e il private enforcement devono convergere, massimizzando lo standard di protezione, parallelamente a un ampio ventaglio di misure preventive che agiscano sulle cause (prossime e remote) del problema e non si limitino all’epifenomeno, prevenendo la formazione di quegli stereotipi, culturali e sociali, che lo alimentano.

Si pone, dunque, l’accento sulla difficoltà di individuazione del soggetto dovuta a sistemi di occultamento dell’identità o della rapidità con cui vengono cancellati dati essenziali all’indagine. A tal proposito, nel nostro ordinamento, il ricorso a mezzi per impedire l’identificazione dei dati di accesso alle reti telematiche costituisce un’aggravante, tuttavia, applicabile ai soli delitti contro la libertà sessuale (art. 609-duodecies c.p.) e che ben si potrebbe applicare anche ad ulteriori fattispecie. Per poter arginare questo problema inizialmente le piattaforme, soprattutto social, hanno provato con un sistema di regole di comportamento che hanno portato alla creazione di algoritmo che censura determinati comportamenti sul web. Anche il Garante si è impegnato molto e con diverse attività in tal senso tanto da apparire poco democratico per il sol fatto di voler arginare tale fenomeno divenuto poco controllabile.

Proposte normative

Risulta necessario, ora, una tutela normativa che possa prevedere una tutela effettiva dei soggetti coinvolti. In particolar modo ponendo rimedio tempestivo con la rimozione dei contenuti illeciti pubblicati in rete, un’attività di responsabilizzazione degli utenti e dei provider ed un serio investimento sulla pedagogia digitale che possa far comprendere le conseguenze di ogni singolo “click”.

Sul tema di nuove ed efficaci proposte normative il Garante ha posto l’accento sul modello tedesco che circoscrive la nozione di contenuto illecito con riferimento alle fattispecie, anche di natura istigativa, generalmente ravvisabili nei discorsi d’odio.

Si potrebbe, sotto questo profilo, anche valutare di riespandere (come prima della riforma di cui al d.lgs. 101/2018) l’ambito applicativo del delitto di trattamento illecito di dati personali (art. 167 del Codice), che offrirebbe una tutela ad ampio spettro.

Sarebbe auspicabile, dunque, estendere all’hate speech il modello di tutela affidato al Garante in tema di cyberbullismo, in tal modo responsabilizzando le piattaforme rispetto agli illeciti commessi on line dagli utenti e soprattutto intervenendo in senso ablativo sui contenuti lesivi in tempi stringenti, prima che il gioco delle condivisioni virali possa prendere il sopravvento.

Il ruolo decisivo dell’Autorità Garante sulle richieste non soddisfatte dai gestori pone un bilanciamento tra dignità e libertà di espressione che non può essere lasciata solo ed esclusivamente all’arbitrio del gestore della piattaforma.

Il Digital Services Act

Il tema è divenuto di importanza primaria, tanto da avanzare una proposta di regolamento europeo che recepisce alcune delle più rilevanti misure introdotte, tra queste anche le procedure di rimozione dei contenuti illeciti, dalla legge tedesca sui social network, dalla loi Avia di giugno scorso come emendata dal Conseil Constitutionnel, nonché da discipline di settore.

Il Digital Services Act introduce taluni obblighi, di carattere proattivo, in capo alle piattaforme on line, diversamente modulati sulla base del numero di utenti attivi.

Si procede, quindi, verso la vera responsabilizzazione del gestore della piattaforma; la linea sottile sulla quale si muove il DSA è il mantenimento di ciò che è normato dalla Direttiva 2000/31, ovvero il regime, in via generale, della responsabilità del gestore (con il divieto di monitoraggio) associato, altresì, a degli obblighi procedurali e sostanziali piena espressione del principio di accountability.

Conclusioni

Nell’attesa di una approvazione definitiva del DSA e di un consequenziale regime di responsabilità in capo alle piattaforme, una soluzione alternativa ed altrettanto efficace potrebbe essere una rivalutazione della fattispecie del delitto di trattamento illecito di dati personali.

Certamente, le proposte normative possono definire le fattispecie e dare degli strumenti adeguati alle vittime di tale fenomeno ma è indispensabile che vi sia quella tanto sentita educazione digitale rivolta a tutte le generazioni, non solo a quelle future.

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