Ennesimo colpo per il PCT: il Tribunale di Milano ha ancora nostalgia della carta

di avv. Sarah Ungaro – Digital&Law Department 

Dopo le resistenze registrate dal Consiglio Nazionale Forense che ha chiesto al Ministro della Giustizia di dispensare gli Avvocati dall’applicazione delle Regole tecniche sul documento informatico (di cui al DPCM 13 novembre 2013) per il Processo Civile Telematico, anche il Tribunale di Milano – con la Sentenza del 15 gennaio 2015, n. 534 – si dimostra reticente di fronte all’adozione degli strumenti telematici introdotti per digitalizzare le fasi dei procedimenti giudiziali, condannando per responsabilità processuale aggravata, ex art. 96, comma 3, c.p.c., la parte che non aveva consegnato la famigerata “copia di cortesia” cartacea a seguito del corretto deposito degli atti in modalità telematica.

A ben vedere, la copia di cortesia appare essere l’ennesimo escamotage predisposto per sottrarre i Giudici alle norme a cui le altre categorie professionali coinvolte nel processo sono invece soggette: la consegna della copia di cortesia in Cancelleria da parte degli Avvocati, infatti, risulta essere in aperta contraddizione con la ratio della disciplina del Processo Civile Telematico, in quanto non sembra potersi giustificare neanche ai sensi dell’art. 16-bis, comma 9, del DL 179/2012, il quale stabilisce che «il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche». 

In effetti, appare alquanto forzata l’interpretazione di questa disposizione sulla scorta della quale alcuni qualificherebbero come “ragioni specifiche” la tutela della salute dei Giudici (forse messa a repentaglio da un potenziale affaticamento della vista), come emergerebbe dalle preoccupazioni espresse dal documento di sintesi di maggio 2014 dell’Associazione Nazionale Magistrati, in ordine alle posizioni emerse dal Tavolo tecnico sul processo Civile Telematico[1]
Tuttavia, nel Protocollo sul processo Civile Telematico siglato il 26 giugno 2014 tra il Tribunale di Milano e l’Ordine degli Avvocati di Milano si richiede ai difensori di consegnare in Cancelleria una copia cartacea degli atti depositati in via telematica, appoggiando tali copie su un “tavolo/scaffale all’uopo predisposto dalla cancelleria, in sezione distinta per ogni giudice, senza attendere l’intervento dell’operatore“. Non si tratta dunque di un deposito in cancelleria – anche perché le norme sul PCT sono perentorie nel prevedere il deposito esclusivamente telematico degli atti – ma di una procedura del tutto peculiare a cui non fa seguito neanche l’attestazione da parte del Cancelliere di avvenuta consegna di tale copia cartacea (che infatti potrebbe essere anche facilmente smarrita una volta appoggiata insieme alle altre) degli atti già correttamente depositati in via telematica.

Sulla scorta di tale previsione contemplata nel citato Protocollo d’intesa, il Tribunale di Milano, con la decisione in commento, si è spinto addirittura sino alla condanna della parte soccombente (in un giudizio di opposizione allo stato passivo) per responsabilità processuale aggravata, ai sensi del comma 3 dell’art. 96 c.p.c. – che è norma di valenza pubblicistica, in quanto mira a colpire le fattispecie di abuso del processo e a evitare che le parti assumano comportamenti dilatori, sleali e scorretti – per non aver depositato la famigerata “copia di cortesia” a seguito del corretto e tempestivo deposito telematico dei documenti[2].

Nel caso specifico, dunque, più che di reticenza dei Giudici del Tribunale di Milano nei confronti delle novità introdotte dalle norme sul PCT, secondo alcuni potrebbe ravvisarsi un atteggiamento ai limiti della ritorsione nei confronti della parte “rea” di non aver depositato la copia di cortesia cartacea degli atti, evidentemente prevista per concedere ai Giudici “il privilegio” di non essere costretti a familiarizzare con gli strumenti digitali contemplati dalle disposizioni sul PCT, al contrario di quanto accade per Avvocati, Cancellieri e Periti.

[1] Reperibile al link http://www.associazionemagistrati.it/allegati/pct-report.pdf.

[2] In proposito, alcune fonti hanno rivelato che il Giudice delegato avrebbe autorizzato la rinuncia da parte del fallimento ad avvalersi del capo della sentenza che ha condannato l’opponente al pagamento della somma prevista dalla sentenza, in quanto tale pronuncia sarebbe fondata su un “principio opinabile”. Tuttavia, anche qualora tale notizia fosse confermata, la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. per responsabilità processuale aggravata rimarrebbe comunque valida.