Diritto all’oblio – si può essere (legittimamente) dimenticati dal web

Il trascorrere del tempo gioca un ruolo fondamentale nel web, specie se si vuol essere “dimenticati”.

Ne è un esempio il caso giunto all’attenzione del Garante Privacy, che con un interessante provvedimento del 24 luglio 2019 è intervenuto in materia di diritto all’oblio, ordinando a Google la rimozione di due Url che rimandavano ad informazioni giudiziarie non più rappresentative della attuale situazione di un imprenditore (di seguito, interessato).

La permanenza in rete di notizie di cronaca giudiziaria non aggiornate di fatto rappresentava un ostacolo al suo reinserimento sociale. Tuttavia, prima di considerare il caso giunto all’attenzione dell’Autorità, occorre riflettere sulle modalità di “costruzione” dell’identità digitale stessa di un soggetto, frutto di tanti elementi di natura diversa, sedimentati nel tempo, in maniera dinamica e non statica.

Diventano perciò imprescindibili la contestualizzazione e la storicizzazione delle informazioni legate all’identità: eventi che si sono verificati in un determinato contesto, possono non corrispondere più all’identità di un soggetto in una successiva fase, tanto da legittimarne la richiesta di rimozione e, dunque, di oblio.

La recente vicenda che ha coinvolto il colosso del web, riguarda proprio la permanenza in rete di informazioni obsolete e non aggiornate. L’interessato, dopo aver tentato di far deindicizzare le pagine direttamente a Google, ha rivolto all’Autorità la richiesta di rimozione degli Url residui sul web, lamentando il pregiudizio per la propria reputazione personale e professionale, causato dalla permanenza di tali informazioni.

Infatti, digitando il proprio nominativo, dai risultati di ricerca sul web erano presenti due Url che contenevano informazioni su una vicenda giudiziaria che aveva visto coinvolto l’interessato nel 2007, con riferimento alla sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti nel 2010. Nelle pagine web però non vi era alcuna traccia della successiva riabilitazione che l’uomo aveva chiesto e ottenuto nel 2013.

Di conseguenza il Garante tenuto conto del tempo trascorso dal verificarsi dei fatti e della successiva riabilitazione dell’interessato, e non essendoci l’attuale interesse del pubblico a conoscere la vicenda, ha giudicato fondato il reclamo ed ha ordinato la deindicizzazione.

La persistenza in rete di tali informazioni giudiziarie non aggiornate, infatti, non è in linea con i principi alla base dell’istituto della riabilitazione, il quale, seppur non estinguendo il reato, comporta il venir meno delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna come misura premiale finalizzata al reinserimento sociale della persona.

Alla luce di questa vicenda, è opportuno chiedersi: se una notizia di cronaca giudiziaria viene portata all’attenzione del pubblico a distanza di anni, l’interessato può chiedere sempre la cancellazione dei link che rimandano alla vicenda ormai “passata”?

E’ bene ricordare che il diritto all’oblio deve essere “contestualizzato”.

Nel caso preso in esame il procedimento a suo tempo attivato contro il reclamante si è concluso nel 2010 con applicazione della riabilitazione in base alla valutazione di buona condotta del condannato, giustificando così l’applicazione del diritto all’oblio.

Tuttavia, lo stesso diritto non può essere sempre riconosciuto poiché il trascorrere del tempo deve essere valutato alla luce delle informazioni di cui si chiede la deindicizzazione. Infatti come afferma lo stesso Garante “Non si può invocare il diritto all’oblio per vicende giudiziarie di particolare gravità e il cui iter processuale si è concluso da poco tempo. In questi casi prevale l’interesse pubblico a conoscere le notizie”.