Dematerializzazione, Firma digitale, Invio telematico di istanze e Trasferimento di quote societarie senza sottoscrizione autenticata: ma davvero abbiamo ancora bisogno della sottoscrizione autenticata?
Ecco perché ritengo che il Consiglio Nazionale del Notariato abbia torto in merito alla previsione contenuta nella “manovra di fine estate” che consente il trasferimento delle quote societarie di una Srl attraverso un (semplice) documento provvisto di firma digitale
A cura di Andrea Lisi – Presidente dell’Associazione Nazionale Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei documenti (ANORC – www.anorc.it)
Professore a contratto Università del Salento – Scuola Professioni Legali Facoltà di Giurisprudenza
Leggo con una certa dose di divertito stupore le polemiche estive relative ad una norma contenuta nella “Manovra di Fine Estate“. Trattasi dell’art. 36 1-bis., secondo il quale l’atto di trasferimento di cui al secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile può essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed è depositato, entro trenta giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340. In tale caso, l’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell’alienante e dell’acquirente, dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito, rilasciato dall’intermediario che vi ha provveduto ai sensi del presente comma. Resta salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di cui al presente comma.
La norma in poche parole consente il trasferimento di quote di S.r.l. anche attraverso un documento informatico provvisto di firma digitale, senza prevedere l’utilizzo della sottoscrizione autenticata (come previsto nell’art. 2470 c.c. II comma). E’ chiaro che questa possibilità è in linea con la volontà legislativa di semplificare alcuni iter burocratici e di garantire una reale digitalizzazione dei documenti (e le conseguenze per la conservazione digitale – obbligatoria – di tutti questi atti informatici di trasferimento saranno rilevanti). Certamente sarebbe auspicabile se, sull’onda di queste nuove importanti disposizioni, si arrivasse a rendere possibile (così come era previsto nell’art. 32 del ddl Bersani Ter il quale non ha visto la luce nel precedente governo Prodi) la conservazione sostitutiva degli originali analogici unici attraverso l’utilizzo di professionisti iscritti all’Albo (e non solo di pubblici ufficiali).
E’ indubbio che queste innovazioni normative presentino dei rischi e che si espongano a critiche, anche di carattere metodologico e di politica normativa, ma rimango fermamente convinto che i vantaggi siano comunque superiori, rispetto ai pericoli.
Prima di tutto, non sono così sicuro che, attraverso la norma criticata, si sia sviluppato arbitrariamente una sorta di doppio binario tra documento cartaceo (per il quale è e rimane indispensabile la sottoscrizione autenticata) e il documento informatico (per il quale è necessaria la “sola” firma digitale). E’ certamente vero che un atto dotato di firma digitale non è equivalente nella sostanza a un atto sottoscritto con firma autografa e autenticato, ma è assolutamente sbagliato riferire che la firma digitale “è un po’ di più della firma elettronica e un po’ meno della firma autografa, non autenticata”. Per confutare questo assunto – che stranamente viene riferito in questi giorni, dopo che si era tante volte sostenuta in passato la “sacralità” della firma digitale, in termini di “robustezza” che essa garantisce al documento informatico, assicurando in modo adeguatamente sicuro paternità e integrità al documento riportato sul “foglio digitale” – è sufficiente sfogliare la normativa italiana attualmente in vigore. Gli articoli 20 II comma e 21 II comma del Codice dell’amministrazione digitale (qui di seguito CAD) sono lapalissiani ed evidenziano una volta per tutte come il documento informatico con firma digitale soddisfi i requisiti della forma scritta (anche sottoscritta) e si presuma riconducibile al titolare della firma: il documento con firma digitale è, quindi, un piccolo gradino sopra il documento cartaceo sottoscritto con firma autografa (non autenticata).
In proposito, è utile ricordare che per il processo della firma digitale è necessario l’intervento di una “terza parte fidata” (trusted third part), generalmente nota come Certification Authority (nel nostro ordinamento “il Certificatore qualificato”). Insomma, per far funzionare il sistema è già prevista la necessaria presenza di un intermediario certificatore, il quale ex lege ha riconosciuto il titolare della firma affidandogli la smart card o il token di firma (che il titolare protegge e custodisce per dovere derivante dal CAD e dal contratto sottoscritto con lo stesso certificatore). L’infrastruttura gestita dal certificatore consente, inoltre, il controllo che il certificato di firma non sia scaduto, revocato o sospeso. Insomma (ci piaccia o non ci piaccia), con l’avvento della Società dell’Informazione, parte dei “doveri notarili” si sono in qualche modo sviluppati attraverso l’attività dei certificatori, i quali – ricordamocelo – sono oggi tenuti a svolgere i loro adempimenti correttamente e con rigore. Sono previsti infatti precisi doveri e responsabilità in capo ai Certificatori qualificati e ai titolari di firma digitale.
Inoltre, teniamo in considerazione che da tempo – come riferito nella stessa manovra finanziaria di fine estate nelle note di commento all’art. 36 1bis – il deposito dei bilanci e degli altri documenti di cui all’art. 2435 del codice civile può essere effettuato mediante trasmissione telematica o su supporto informatico degli stessi, da parte degli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, muniti della firma digitale e allo scopo incaricati dai legali rappresentanti della società.
In definitiva, l’articolo commentato in modo così critico e polemico durante quest’estate è certamente dirompente e innovativo, ma si pone all’interno di un lungo processo che riguarda l’eliminazione del mondo cartaceo e la sua inevitabile sostituzione con il più efficiente archivio digitale. Ormai qualsiasi documento (salvo sempre più rare eccezioni) è “dematerializzabile” o può nascere informatico, secondo la legge italiana e purchè il responsabile della conservazione si attenga a regole precise per la sua corretta conservazione nel tempo.
In verità, l’unico punto dolente della riforma contenuta nell’art. 36 1 bis sta nel fatto che essa non preveda un’attestazione temporale certa nel trasferimento di quote societarie, effettuato attraverso un documento informatico sottoscritto con firma digitale. L’apposizione di una marca temporale, infatti, avrebbe assicurato data certa all’atto di trasferimento, garantendo allo stesso quella valenza tipica della sottoscrizione autenticata.
Per concludere, il mondo notarile – come è anche emerso con forza durante un importante convegno di studi organizzato da Euronot@notaries che si è tenuto a Napoli il 30 maggio 2008 e dedicato proprio alle problematiche del documento informatico – invece di mettersi di traverso in modo nostalgico a queste innovazioni, dovrebbe ritagliarsi un nuovo ruolo, comunque necessario, e cavalcare così il cambiamento senza eccessivi e inutili allarmismi.
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L’articolo corredato di note è disponibile in allegato
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Di queste problematiche si discuterà il 18 settembre 2008 durante le giornate di studio del FORUM NAZIONALE SULLA DEMATERIALIZZAZIONE organizzato da ANORC (info alla pagina www.anorc.it).