Copyright online: importante sentenza sul caso Yahoo! e RTI

di Stefano Frontini e Silvia Riezzo


Un’importante sentenza (n. 29/2015) è stata pronunciata nei giorni scorsi dalla Corte di Appello di Milano e sarà gravida di conseguenze per le complesse tematiche del copyright online e della responsabilità civile dell’Internet provider. La sentenza è relativa al contenzioso che ha contrapposto in questi anni Reti Televisive Italiane (RTI) e Yahoo! e che aveva portato già nel 2011 a una pronuncia di primo grado (n. 10893/2011) che ora viene completamente riformata.
Nello specifico, l’azienda RTI chiedeva che venisse impedita a Yahoo! la pubblicazione non autorizzata di contenuti – tutelati dalle norme sul diritto d’autore – sui quali RTI vantava diritti di sfruttamento economico, e nello stesso tempo esigeva che le venissero risarciti i danni per l’illecita condivisione degli stessi già effettuata sulla piattaforma di video sharing di Yahoo! (che sarebbe stata anche non particolarmente solerte ad assolvere alla rimozione dei video segnalati). 

Secondo RTI, dunque, Yahoo! avrebbe violato i suoi diritti di utilizzazione economica di diversi programmi televisivi, i suoi diritti di proprietà industriale e avrebbe inoltre commesso atti di concorrenza sleale ex art. 2598 c.c. 
Con la prima sentenza del 2011 il Tribunale di Milano aveva dato ragione a RTI, stabilendo che la diffusione, da parte di Yahoo! di quei brani e filmati tratti da programmi Tv costituiva violazione dei diritti di copyright e che Yahoo!, dando all’utente anche gli strumenti per manipolare i video caricati, dovesse essere considerato hosting provider “attivo” e non “passivo”, non potendo quindi godere del regime di esenzione da responsabilità- per le informazioni fornite da un destinatario del servizio- previsto dalla direttiva europea 2000/31/CE sul commercio elettronico. 
Nel giudizio di secondo grado viene messo in discussione proprio il ruolo attivo di Yahoo!. I giudici infatti, con un’attenta analisi della normativa europea e domestica (attuativa, in modo pressoché pedissequo, di quella europea), chiariscono che l’hosting provider non può essere considerato attivo per il sol fatto di essere maggiormente evoluto e sofisticato, facendone da ciò discendere una supposta “attività” con la conseguente esclusione dello stesso dal regime di esenzione previsto all’articolo 14 della direttiva 2000/31/CE. 
Il collegio ha inoltre sottolineato come la vigente normativa in materia impedisca di imporre all’hosting provider un obbligo preventivo di sorveglianza o di filtraggio dei contenuti caricati on-line per individuare possibili caricamenti illeciti. 
Tale attività, infatti, comporterebbe per l’intermediario uno sforzo economico sproporzionato, che contrasterebbe con il favor per lo spazio di libera circolazione del commercio e del libero pensiero in Internet sottolineato nettamente dalla Corte di Giustizia. 
L’unico obbligo prospettabile in capo all’hosting provider, allora, sarebbe quello di agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso non appena si renda conto o sia stato informato delle attività illecite (considerando 46) conformemente, peraltro, a quanto stabilito nel principio generalmente diffuso nello Spazio Economico Europeo (SEE) secondo il quale la tutela deve essere sempre apportata ex post.
RTI, che è stata condannata a pagare le onerose spese processuali, dal canto suo ha annunciato che ricorrerà in Cassazione contro una sentenza considerata «molto pericolosa per il futuro del diritto d’autore».