Copia analogica di documento informatico non sottoscritta: si tratta di “prova atipica”?


di Stefano Frontini e Sarah Ungaro – Digital&Law Department
Con la sentenza n. 4363/2015, la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso avverso la sentenza di condanna in appello per il reato di guida in stato d’ebbrezza (di cui all’articolo 186, comma 2, lett c, del codice penale), in relazione alla quale la difesa dell’imputata contestava – tra l’altro – l’erronea applicazione dell’articolo 23 del Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’Amministrazione Digitale), norma che detta i requisiti per le copie analogiche dei documenti informatici. Nello specifico, la difesa della ricorrente adduceva la presunta invalidità della copia analogica del referto medico (redatto in originale informatico) in quanto la copia prodotta in giudizio, in effetti, risultava priva della sottoscrizione del pubblico ufficiale.
La Suprema Corte ha seccamente ritenuto il ricorso infondato, anche rispetto all’inesatta applicazione dell’art 23 del Codice dell’Amministrazione Digitale.
I Giudici hanno articolato la loro decisione sulla base di tre diversi presupposti così sintetizzabili.
In primo luogo hanno ritenuto che l’utilizzabilità di una prova documentale non è funzione della sua validità formale e che, più precisamente, l’inutilizzabilità della prova deriva dal fatto che essa sia stata formata o acquisita attraverso metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e valutare i fatti, ovvero dall’essere stata acquisita in violazione di divieti stabiliti dalle leggi. Oltre questo, aggiungono i Giudici, bisogna sempre tenere conto anche della regola per la quale nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, esclusi quelli che riguardano lo stato di famiglia e la cittadinanza.
Tuttavia, nel caso di specie, non risulta che la Corte abbia tenuto in debita considerazione il disposto dell’art. 234 c.p., sulla scorta del quale è possibile acquisire una copia solo qualora “l’originale di un documento del quale occorre far uso è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo”. In tal caso, dunque, ben si sarebbe potuto produrre il duplicato dell’originale informatico.
Come secondo spunto la Corte rammenta quanto già stabilito dalla stessa in altre occasioni, e cioè, che il vigente sistema processuale penale non ha accolto il principio di tipicità dei mezzi di prova e che anzi, l’articolo 189 del Codice di procedura penale ammette l’evenienza di prove non disciplinate dalla legge, accordando al giudice il potere di utilizzare quale elemento di prova anche la copia di un documento quando essa sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti (nel caso richiamato dalla Cassazione una copia fotostatica di cartella clinica, anch’essa priva di sottoscrizione).
In questo caso, però, sembra che la Corte non abbia considerato che l’acquisizione di una prova documentale è disciplinata dalla legge, e precisamente dalle disposizioni del menzionato art. 234 c.p.p. (Prova documentale), dell’art. 1, lett. p) (Definizione di documento informatico), e 23 (Copie analogiche di documento informatico) del D.Lgs. n. 82/2005 (CAD). 
Come terzo aspetto la Corte ha rilevato come non siano state presentate da parte del ricorrente puntuali censure inerenti alla genuinità del documento ovvero alla presenza di difetti tecnici che possano inficiarne l’attendibilità.
Il ragionamento della Corte è stato insomma quello di considerare una copia analogica di documento informatico priva di sottoscrizione del Pubblico Ufficiale – e quindi, come stabilito dall’articolo 23 del CAD, senza nessuna prova della conformità di tutte le sue parti all’originale- come una prova atipica e perciò liberamente valutabile dal giudice in merito alla sua idoneità ad assicurare l’accertamento dei fatti. Il tutto confortato dalla mancanza di rilievi da parte dell’imputato in merito al contenuto del referto medico.
Alcune perplessità emergono in merito all’iter seguito dalla Corte per giungere a queste conclusioni.
In particolare, non appare corretto qualificare come “prova atipica” un mezzo di prova documentale non correttamente acquisito nel processo, la cui disciplina – lo si ripete – risulta dal combinato disposto dell’art. 234 c.p.p., dell’art. 1, lett. p), e 23 del D.Lgs. n. 82/2005 (CAD). In effetti, qualora fosse risultato impossibile produrre un duplicato del documento informatico originale relativo al referto medico, per la produzione della copia analogica dello stesso agli atti del giudizio avrebbe dovuto tenersi in debito conto quanto stabilito specificamente dall’art. 23 del CAD, ovvero:
“1. Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
2. Le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l’obbligo di conservazione dell’originale informatico”.
Da ultimo, non si può non rilevare che il paragone operato dalla Suprema Corte tra copia fotostatica di un documento cartaceo e copia analogica (non conforme al dettato dell’art. 23 del CAD) di documento informatico sembra evidenziare ancora una profonda confusione sulle caratteristiche e il valore probatorio dei documenti informatici.