Post diffamatori su Facebook: il giudice può ordinarne la cancellazione

di Enrica Maio 

“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.”
Questo è ciò che recita l’art. 595 del Codice Penale italiano, relativo alla fattispecie criminosa della diffamazione, in riferimento al quale, recentemente, il Tribunale di Reggio Emilia ha disposto la cessazione e la rimozione di post diffamatori diffusi tramite uno dei più noti social network, Facebook.
Il giudice può, non solo ordinare la cancellazione dei post lesivi dell’altrui reputazione, ma anche fissare una somma sanzionatoria a carico di chi gli ha scritti, che aumenta qualora vi sia inosservanza o ritardo nell’esecuzione di tale ordine.
Il caso specifico
Due utenti del social network di Menlo Park avevano postato numerose dichiarazioni di carattere diffamatorio nei confronti di un’azienda individuale, il cui titolare, rivoltosi al Tribunale, ha instaurato un procedimento speciale sommario ex art. 700 c.p.c., con lo scopo di far cessare queste azioni e inibire a tali utenti le pubblicazioni in questione.
Il giudice non solo ha accolto le domande del ricorrente, ma ha anche introdotto, con una interessante ordinanza, una ulteriore sanzione per la condotta reiterata o l’omessa/ritardata esecuzione della condanna di facere.
L’ordine del giudice, consistente nella cessazione delle pubblicazioni offensive e nella conseguente sanzione pecuniaria per l’eventuale condotta reiterata o per il ritardo nell’adempimento, pone, però, alcuni dubbi.
L’ordinanza del giudice può essere quasi associata a un vero e proprio sequestro, in quanto gli effetti che produce sono quelli tipici di un provvedimento cautelare: nello specifico, l’effetto è quello di eliminare per via giudiziaria un messaggio dal circuito dell’informazione prima che l’illiceità dello stesso sia attestata da una sentenza definitiva.
È utile evidenziare che per le pubblicazioni in rete, fino a poco tempo fa, il sequestro era ritenuto legittimo dalla giurisprudenza penale, ma il 29 gennaio 2015 la Cassazione a Sezioni Unite in una sua pronuncia ha stabilito il contrario, almeno per le condotte diffamatorie commesse all’interno di giornali online registrati: quindi non poche perplessità possono nascere dopo la pronuncia del Tribunale romagnolo in merito a queste nuove fattispecie criminose, che potremmo definire come reati di diffamazione 2.0.