Le e-mail, anche quando ottenute senza il consenso dell’interessato, possono essere utilizzate come prove in tribunale: è al tribunale, infatti, che spetta in maniera esclusiva la valutazione dell’ammissibilità delle prove (come già sostenuto dal Garante, in ottemperanza a quanto stabilito dal Codice privacy).
È questo che stabilisce una sentenza del Tribunale di Torino dell’8 marzo 2013 resa nota solo ora.
Nel caso specifico la vicenda è la seguente: un coniuge ha utilizzato delle e-mail per provare l’infedeltà dell’altro coniuge, il quale, a sua volta, pur confermando la veridicità del contenuto della posta elettronica, si è opposto mettendo in dubbio la liceità di questa operazione e paventando responsabilità penali per la sottrazione della posta privata.
Le motivazioni che hanno condotto il Tribunale di Torino a stabilire che tali e-mail potessero essere ammesse come prova sono sostanzialmente tre:
– il fatto che all’articolo 24 lett. f) il Codice privacy stabilisca che non è necessario richiedere il consenso sul trattamento di dati personali se tali dati vengono utilizzati per difendere un diritto in sede giudiziaria (sempre che vengano trattati solo a questo scopo e per il periodo di tempo strettamente necessario);
– il fatto che, in base a quanto stabilito dall’art. 160 comma 6 del Codice privacy, debba rimandarsi alla disciplina processuale penale e civile la decisione su validità, efficacia e utilizzabilità di tali atti;
– il fatto che, in assenza di una specifica normativa, spetti al singolo giudice equilibrare il diritto di difesa e quello alla riservatezza.
Già in precedenza il Garante aveva aderito a questa linea con il provvedimento del 23 settembre 2010, considerando lecita l’iniziativa di un datore di lavoro che, in occasione di una causa per licenziamento, aveva depositato in giudizio una precedente sentenza penale di condanna a carico del dipendente.