Vi proponiamo di seguito l’intervista rilasciata dall’avv. Andrea Lisi a The World Of Il Consulente, n.86.
Potete consultare la rivista al presente link. Troverete l’intervista a pagina 40.
Si è discusso molto della vicenda riguardante il finanziamento da 3 milioni di euro ad ISIAMED, cosa può dirci al riguardo?
Chiariamo anzitutto l’identità del destinatario del finanziamento previsto dal comma 1087 art.1 dell’ultima legge di Bilancio. IsiameD, nasce come istituto italiano per l’Asia e il Mediterraneo, la sua “conversione” dalla diplomazia al digitale è recentissima, risale a questa estate. La società è stata chiamata in causa per “affermare un modello digitale italiano come strumento di tutela
e valorizzazione economica e sociale del made in Italy e della cultura sociale e produttiva della tipicità territoriale” con un “contributo pari a 1.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020”.
Al centro della vicenda andrebbe apparentemente posto l’interesse verso la “tutela e valorizzazione” del patrimonio digitale italiano, tuttavia un affidamento di tale portata, così improvvisato nei riguardi di un istituto, finora sconosciuto in un settore così specifico, appare, oltre che rischioso, sicuramente anche piuttosto avventato. A conferma di ciò, lo stesso ministro Calenda, oltre ad essere all’oscuro dell’emendamento, ha avuto occasione di definirlo “stravagante” in un post su Twitter.
Questa vicenda è l’ennesima riprova della totale mancanza di coordinamento tipica della nostra classe politica, incapace di fornire una strategia di lunga durata per la digitalizzazione del Paese, tant’è che l’Italia digitale, sul suo nascere, è già stata commissariata e non punta certo ad investire su consapevolezza, competenza, partecipazione. Risale a un anno e mezzo fa la nomina di Piacentini — ex manager di Amazon- a commissario straordinario per il digitale. I progetti all’epoca incompiuti, lo sono ancora (l’anagrafe nazionale della popolazione residente — ANPR- datato 2001 con una manciata di comuni aderenti, o SPID, progetto con un paio di anni di vita, ancora per nulla decollato), in compenso abbiamo un Piano Triennale che appare più improntato sulla voglia di stupire, pieno di termini e parole d’ordine nuovi, che disposto a preservare e aggiornare la tradizione normativa,amministrativa e per certi versi archivistica del nostro Paese. In tutto questo abbiamo anche un’agenzia preposta alla guida dell’Italia Digitale (Agid) che ha finora vacillato, ricusando i contraccolpi dei numerosi cambiamenti, di nome ed organizzazione e che manca quindi di brillantezza.
Quali sono i reali confini dello stato di digitalizzazione del Nostro Paese?
Dal mio punto di vista il paese è letteralmente scollegato, così come la spesa pubblica sul digitale. Enti locali e ministeri in mano alle partecipate, ma senza controlli reali su strategie e risultati. Scarse competenze digitali interne alle PA, scarsa consapevolezza della cittadinanza sull’utilità del fattore digitale, scarsa attenzione politica al tema. Lo scenario attuale non trasmette di certo sensazioni di sicurezza e stabilità. Secondo recenti stime il nostro Paese occupa il 25esimo posto in termini di “maturazione digitale”, su una classifica totale di 28 paesi e la posizione non migliora in ambito E-gov. Basti pensare che in altre realtà Europee, l’Estonia ad esempio, si parlava di E-gov già 15 anni fa. Le ragioni del ristagno sono abbastanza evidenti: semplicemente si procede a tentoni, manca una strategia a lungo termine vera e propria, le normative in vigore vengono puntualmente modificate per limitare i danni posti in essere – un esempio tra tutti è sicuramente quello offerto dal processo di revisione del CAD. CAD è l’acronimo di Codice dell’Amministrazione Digitale, ma questo testo, modificato oramai innumerevoli volte non merita più il titolo di “Codice”, non ne possiede la dignità, i continui aggiornamenti lo rendono più simile ad un software a cui somministrare a cadenza costante delle “patch” per donargli quell’utilizzabilità che, è legittimo ipotizzare, una classe politica digitalmente alfabetizzata gli avrebbe conferito in prima battuta. Ho più volte puntualizzato come l’attuale testo del CAD non fosse poi teoricamente sospeso, ma mi sarei aspettato che uno zelante e accorto legislatore provvedesse nei termini a completare l’iter della riforma tecnica in uno stato di lacerante e irreale sospensione, invece di concentrare tutti i suoi sforzi a rattoppare per l’ennesima volta il CAD, a diffondere il verbo dello storytelling e a sviluppare piattaforme abilitanti. E delle nuove regole tecniche invece nessuna traccia!
Ormai una vera semplificazione vorrebbe una radicale eliminazione del Codice dell’amministrazione digitale perché non è servito a nulla e non servirà a nulla in futuro purtroppo. Attendiamo inoltre la piena esecutività del nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali (GDPR 679/2016 pienamente esecutivo dal 25 maggio 2018) a cui il “nuovo” CAD e soprattutto il vecchio Codice per la protezione dei dati personali si dovranno necessariamente adeguare, ma al momento l’Italia non sta dimostrando di certo padronanza della questione e mentre le Camere sono ormai sciolte, la nuova legge di Bilancio 2018 approvata dal Senato contiene un emendamento che ha lasciato perplessa più di una persona.
A proposito di Legge di Bilancio e finanziamenti, qual è la sua opinione in proposito?
Ritiene che si stia facendo quanto necessario in questo senso?
Premettiamo che non era certamente quella la sede per apportare tutti i necessari adeguamenti del sistema normativo italiano alle previsioni del GDPR, eppure la legge di Bilancio 2018, inserisce gli stanziamenti per il digitale tra una moltitudine di disposizioni, esemplificativi i commi 1020 e successivi dell’art.1 della suddetta legge. Come per il caso Isiamed, già discusso all’inizio, i finanziamenti sembrano in realtà non avere una direzione precisa, sono frazionati in modi difficilmente funzionali allo scopo: non si è ancora evidentemente compreso che non basta elargire denaro, serve un metodo, è necessaria una competenza specifica per sapere dove e in che modo investire per evitare che i fondi vengano sprecati. Anche qui, la sensazione che trasmette il testo è di assoIuta confusione, dubito fortemente che la finanziaria garantisca al Paese quello di cui necessita per allinearsi a standard elevati come quelli che I ‘Unione Europea richiede. D’altronde non sarebbe la prima volta che si “regala” denaro senza cognizione di causa, mi viene in mente un esempio tra tanti, particolarmente esemplificativo, ovvero il mega finanziamento stanziato per la creazione di Italia.it, portale presentato da Francesco Rutelli del 2007 a cui furono destinati ben 45 milioni di euro. Quello che doveva essere il portale telematico del Bel Paese, nonostante approvvigionamento economico si è rivelato un clamoroso buco nell’acqua, tanto che al momento il portale è chiuso ed i fondi sono persi, con buona pace dei contribuenti. Il messaggio da cogliere è che prima di diffondere denaro a pioggia è bene stilare una strategia di investimenti volta ad ottenere un risultato, non ad accalappiarsi il favore mediatico finalizzato a porre in essere campagne elettorali sibilline.
La critica va rivolta quindi alla classe politica?
La politica ha sicuramente delle responsabilità, i tentativi di dare una dignità al digitale, seppur tardivi, non sono mancati, la questione tuttavia è sempre la stessa: è assente un metodo funzionale allo scopo, un indirizzo preciso da perseguire, avvalendosi di professionisti che vantino competenze ai vertici nel settore. Il digitale in Italia si sta innestando in uno scenario, quasi distopico, praticamente tutto l’opposto a cui si dovrebbe aspirare. Bisogna riconoscere a questa innovazione la dignità che merita, puntando alla consapevolezza dei cittadini digitali, che non possono più nutrirsi di solo storytelling, ma hanno bisogno di acquisire piena capacità dei loro diritti
di cittadinanza digitale.
Quale sarebbe una corretta strategia quindi?
Si dovrebbe partire dal principio, promuovere l’alfabetizzazione rifacendosi magari all’esempio estone, il primo intervento del Governo, in merito, fu di organizzare dei corsi di informatica totalmente gratuiti, per l’intera popolazione.
Questo processo formativo, tuttavia deve interessare anche la PA e ovviamente la classe politica, non solo i cittadini. Si parla di necessità, come si pretende di affrontare la produzione normativa di una materia sconosciuta? Ci sono partiti che inseriscono nelle loro fila professionisti competenti che possano davvero essere utili al Paese?
I professionisti devono ormai avere approccio multidisciplinare e formarsi sul digitale e maturando competenze trasversali. Questa è la battaglia che sto conducendo sul fronte della formazione da ormai dieci anni, con la realtà di ANORC Professioni che oggi rappresento in qualità di Presidente.
Il nostro obiettivo è di dare regolamentazione e riconoscimento a due figure: i Professionisti della digitalizzazione e Professionisti della privacy, ormai necessarie in ogni moderna organizzazione, sia pubblica che privata. La domanda di competenze digitali nei prossimi anni continuerà infatti ad aumentare, rappresentando la vera sfida per la modernizzazione del Paese, ecco perché queste Professioni vanno sostenute e tutelate.
Ritiene che ad oggi ci sia stata una giusta attenzione verso le nuove competenze e le corrette strategie?
Al momento, da quello che si evince, assolutamente no, le conseguenze sono quelle che vediamo, sforzi normativi poco organici, finanziamenti elargiti senza strategia e incompetenza diffusa. Il cambiamento richiede competenze, si deve investire e ripartire principalmente da questo.