Dominio di terzo livello: incognite sulla responsabilità. A cura di Annalisa Spedicato – Studio Legale Lisi

Dominio di terzo livello … incognite  sulla responsabilità.


A cura di Annalisa Spedicato, collaboratrice del Digital&Law Department – Studio Legale Lisi (www.studiolegalelisi.it)


Ormai è noto a tutti che il ‘domain name’, è la ‘traduzione’ in chiaro dell’indirizzo numerico di Internet Protocol (I.P.), che identifica univocamente un sito web nella rete.


Tuttavia, accade, delle volte, che alcuni provider/mantainer, acquistando un nome a dominio, creino in appoggio ad esso dei sottodomini, da rivendere o cedere in gestione a terzi.


Si parla, in tali casi, di domini di secondo, terzo o quarto livello. Ad esempio, l’estensione “.it” è il primo livello, il nome che segue è il secondo livello, quindi, come tutti i domini più celebri in Internet, è definito dominio di secondo livello. Un dominio di secondo livello si presenta in questo modo: www.nome.it; mentre un dominio di terzo livello ha la seguente estensione www.nome.dominioweb.it.


Va da sé che il provider/mantainer, titolare del dominio di secondo livello, sovente, titolare dei sotto domini ad esso collegati, assuma lo stesso ruolo del titolare del dominio di terzo livello; pertanto, è possibile configurare per entrambi le medesime responsabilità.


Accertata l’identità di ruolo tra titolare del dominio di secondo livello e titolare dei livelli successivi, proviamo ora a comprendere in cosa consistono tali responsabilità e per quali di esse invece deve ritenersi responsabile, esclusivamente, il terzo utente/utilizzatore, che essendo assegnatario del dominio di terzo livello, è colui che di fatto se ne serve.


In realtà, la procedura di registrazione risulta essere abbastanza semplice, pertanto, il servizio offerto dai registratori (meglio definiti host providers),  potrebbe sembrare superfluo, se non fosse che spesso – e ciò vale, in particolare, per chi registra domini di terzo livello – essi forniscono, oltre alla messa a disposizione di uno spazio virtuale, anche altri servizi, come per esempio una casella di posta elettronica o il mantenimento delle pagine web (in tal caso si definiscono services providers) e se non fosse per eventuali problemi che potrebbero sorgere nella fase preventiva alla registrazione, quando cioè occorre effettuare analisi e ricerche, allo scopo di verificare se i nomi a dominio in questione, risultano già registrati o possono sovrapporsi a marchi o ragioni sociali di imprese o coincidere con nomi di persone. In tali circostanze, invero, sarebbe propizio l’intervento di legali o esperti di diritto industriale che, più di altre figure professionali, sono in grado di seguire efficacemente e adeguatamente tali  problematiche. Come sarebbe altrettanto propizio l’intervento degli stessi legali, allorché si renda necessaria la stesura del contratto con cui le parti (titolare del dominio e assegnatario) intendono definire le loro rispettive funzioni e responsabilità. Le clausole inserite, ovviamente, laddove vengano sottoscritte, obbligheranno le parti al rispetto delle stesse.


Questo significa che la firma in prossimità di una clausola simile alla seguente “Il sottoscritto Y dichiara di assumere su di sé ogni più ampia responsabilità in ordine al contenuto, liceità, qualità e veridicità delle informazioni contenute nel sito, con espresso esonero di X da ogni responsabilità ed onere di verifica e/o controllo al riguardo. Conviene, altresì, che qualora si accerti, attraverso i sopra menzionati server, la fornitura di informazioni contrarie all’ordine pubblico, al buon costume ed alla pubblica morale,  comunque lesive di diritti di terzi, X provvederà a revocare immediatamente la delega sui server, …” consentirà, all’occorrenza, al provider/mantainer di agire nei confronti del terzo per ottenere un risarcimento da inadempimento contrattuale in sede civile e fungerà, tra altro, da prova, in ausilio ad elementi aggiunti [volendo accettare la definizione prestata in dottrina all’attività del provider, quale attività pericolosa (cfr. Buffa e Cassano www.ipsoa.it)], per dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, qualora eventuali danneggiati chiedessero al provider/mantainer un risarcimento per fatto illecito ex art. 2043 c.c.
E’ bene tenere presente che la responsabilità del provider/ mantainer si può configurare, in ambito civile e maggiormente nel penale, solo ed esclusivamente nel caso in cui sia egli stesso a compiere una violazione di legge, perché, per esempio, tramite il suo software, permette di immettere sulla rete, materiale contraffatto, o perché registra un nome a dominio appartenente ad un marchio aziendale. Nel caso in cui invece la responsabilità dell’illecito sia esclusivamente ascrivibile alla condotta del terzo assegnatario del dominio, il provider/mantainer  non dovrebbe essere considerato responsabile, a maggior ragione quando è intervenuto preventivamente a regolamentare, tramite contratto, le sue responsabilità e quelle altrui. 
Naturalmente, questo dipenderà molto anche dai compiti che il provider/ mantainer si è assunto in sede contrattuale. In effetti, come ha precisato la giurisprudenza di merito, in una pronuncia del 2001, se il provider/mantainer consente al pubblico di disporre di informazioni ed opere di qualsiasi genere (riviste, fotografie, libri, banche dati, versioni telematiche di quotidiani e periodici, ecc.) caricandole sulle memorie dei computers server e collegando tali computers alla rete (si definisce content provider), allora la sua attività sarà paragonabile a quella dell’editore di un organo di stampa (Trib. Bologna 2001- Internet Law Digest).
In seguito a tale pronuncia, in verità, sono sorti dubbi sulla possibile equiparazione tra organi di stampa e pagine web, a causa dell’assenza di una norma ad hoc che ne disciplinasse l’identità. Tuttavia, gran parte della giurisprudenza successiva ha accolto tale equiparazione, giungendo ad applicare anche al provider l’art. 11 della L. n. 47/48 secondo cui “per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili in solido con gli autori del reato e fra di loro il proprietario della pubblicazione e l’editore”.
Tali decisioni si sono poi fuse nella legge che ha riformato l’editoria (L. 7 Marzo 2001 n. 62) con cui nel concetto di prodotto editoriale si è inteso far confluire la stampa su supporto informatico.
Nel gestire, infatti, un’informazione, il provider/mantainer – meglio il content provider – non potrà esimersi dall’avere un onere di controllo sulla stessa. Quale operatore economico egli, infatti,  assume su di sé il rischio d’impresa. Ma, si badi, non si tratta di una responsabilità oggettiva ex art. 2050 c.c. Ormai, in effetti, si è accertato come sul provider/ mantainer non gravi un generale obbligo di vigilanza relativo al trasporto e alla memorizzazione del flusso informativo (art. 17 D. Lgs. N. 70/2003). Ciò nonostante, egli comunque assume una posizione di garanzia, in base alla quale deve tempestivamente intervenire, provvedendo a cancellare o oscurare quanto illecitamente registrato sul server, evitando che l’illecito vi permanga, malgrado la sua cognizione.


Sintetizzando, dunque, è opportuno fissare precisamente oneri e responsabilità delle parti all’interno del contratto, sed, perché si possa configurare una responsabilità del provider/mantainer per fatto commesso da un terzo, ai sensi degli artt. 57 e 57 bis cp, è necessario un quid pluris, ovvero un intervento attivo da parte dello stesso. In definitiva, occorre che egli, pur essendo venuto a conoscenza del materiale illecito presente sul server, non si sia attivato tempestivamente ad eliminarlo o a chiedere l’intervento delle autorità. Diversamente argomentando, si finirebbe per ammettere una responsabilità penale per fatto altrui, in palese contrasto con il principio costituzionale ex art. 27 Cost., secondo cui la responsabilità penale è personale.


 

Redazione13 Gennaio 2016