di Stefano Frontini
Un’interessante Ordinanza in merito al valore probatorio dell’email è stata pronunciata dal Tribunale di Termini Imerese – Sezione Civile, ai sensi dell’articolo 702-ter del Codice di Procedura Civile.
Il nodo della questione verteva sulla richiesta di corresponsione di un compenso professionale per attività di consulenza e assistenza prestata e mai retribuita. Nello specifico, in tre si erano rivolti a un consulente per la stipula e il successivo adempimento di un contratto di cessione di quote sociali di una società, ma solo due di loro avevano poi corrisposto l’onorario pattuito.
Ciò che è interessante rilevare ai fini di un’analisi attenta al corretto utilizzo degli strumenti informatici e alle relative conseguenze giuridiche, è che la documentazione prodotta a supporto della fondatezza della pretesa del ricorrente fosse prevalentemente formata da messaggi di posta elettronica (email), non certificata.
Il Giudice, dimostrando finalmente un corretto e consapevole approccio alla tematica in oggetto, ha giustamente ritenuto che per stabilire la sussistenza o meno di quanto richiesto dal consulente come risarcimento, fosse necessario in primo luogo valutare la valenza probatoria di un documento informatico inviato tramite posta elettronica semplice.
A tale scopo, il Giudice ha in prima battuta effettuato una ricognizione della normativa dettata sull’argomento dal Codice dell’Amministrazione Digitale (D.lgs. n. 82/2005), rilevando che, pur mancando all’interno dello stesso una disciplina relativa alla valenza probatoria dei documenti informatici non sottoscritti, sono presenti in esso tutti gli strumenti necessari alla risoluzione della controversia portata alla Sua attenzione.
In particolare, a seguito dell’analisi normativa svolta, il Giudice sostiene che è necessario stabilire se i documenti inviati tramite email non certificata debbano essere considerati come atti informatici non sottoscritti o come atti informatici sottoscritti con firma elettronica leggera.
E infatti, se l’email non certificata fosse da considerare alla stregua di un documento informatico non sottoscritto, non sarebbe stato possibile riconoscere alle dichiarazioni contenute nelle email prodotte in giudizio un valore probatorio idoneo a ritenere certamente fondate le pretese del ricorrente, atteso che i documenti (siano essi informatici o cartacei) non sottoscritti non possono avere alcun valore probatorio, non essendo riconducibili a nessun soggetto.
Se al contrario invece, le email non certificate vengono ricondotte nell’alveo dei documenti informatici con firma elettronica leggera, allora l’attendibilità probatoria delle stesse è liberamente valutabile dal Giudice “in considerazione delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità”, così come stabilito nel comma 1 dell’art 21 del Codice dell’Amministrazione Digitale.
In tale prospettiva il Giudice ha rilevato che il nome utente e la password necessari per accedere all’account di posta elettronica altro non sono altro che “l’insieme dei dati in forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri dati elettronici, utilizzati come metodo di identificazione informatica” e cioè quello che l’articolo 1 del CAD definisce come firma elettronica (semplice).
Fatte queste premesse, è facile intuire che i documenti informatici inviati tramite email non certificata sono da considerarsi documenti sottoscritti con firma elettronica semplice e che spetta, quindi, al Giudice valutarne il valore probatorio, tenuto conto delle caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità e immodificabilità, così come stabilito dall’articolo 21, comma 1, del Codice dell’Amministrazione digitale.
Fatto questo corretto iter di premesse, il Giudice ha considerato specificatamente le singole email prodotte valutandole idonee dal punto di vista probatorio e per questo condannando il resistente al pagamento dell’onorario mai percepito dal consulente, oltre alle spese di giudizio sostenute.